giovedì 4 marzo 2010
Èprossimo il 150° anniversario dell'Italia unita, e per inerzia
saranno tante le tirate antireligiose, oggi di moda, con rivendicazione «laicista» dell'impresa. Qui martedì un "Lupus" sulla fede «cattolica» di Cavour, ma lo stesso giorno ("Manifesto", pp. 11-12: «Goffredo Mameli, tra laicità e romanticismo») leggo che in un articolo del 19/3/1849 l'autore di "Fratelli d'Italia" raccontava entusiasta una cerimonia in chiesa, a Genova, con il parroco che dal pulpito esaltava così le radici religiose della patria: «il principio dell'indipendenza e della libertà italiana emana (da Dio): chi combatte per questo combatte per la religione, combatte per Iddio!» E ciò «nella cornice sacra di una chiesa». Non basta. Ricordo Carlo Passaglia, prete gesuita, uomo di sterminata cultura e teologo prediletto di Pio IX, che aveva contribuito più di ogni altro a preparare la promulgazione del dogma dell'Immacolata del 1854. Egli proprio sul tema cruciale dell'unità italiana, dal 1859 ebbe su incarico del Papa anche colloqui con Cavour e in seguito, in vista di essa, presentò a Pio IX ben 10.000 firme di preti che chiedevano la rinuncia al potere temporale. Fulmini! Punito con la scomunica ed esiliato, il povero don Carlo fu accolto a Torino proprio da Cavour che gli dette la cattedra di filosofia morale e morì nel 1887, pienamente riconciliato con la sua Chiesa: Roma era ormai italiana. Ultimo, come cronaca: nel centenario della presa di Roma, 20 settembre 1970, Paolo VI inviò il cardinale vicario Angelo Dell'Acqua a celebrare una Messa a Porta Pia: per ringraziare Dio anche di quella vicenda. Fatti contro pregiudizi? Sì, ma da tutte le parti.
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