mercoledì 11 aprile 2012
Applausi al coraggioso neo-editore Giuliano Ladolfi che ha pubblicato, in un volumone di 694 pagine, tutte le poesie di Daria Menicanti, a cura di Matteo Mario Vecchio, con il titolo La vita è un dito (Borgomanero, euro 30,00). Il titolo non è felicissimo, anche se preso da una poesia del 1960 («La vita è un dito / in fondo al mio bicchiere»), sineddoche che fa uno strano effetto in chi conosce la barzelletta del tizio che non riesce a finire la trippa perché ci trova dentro un dito umano. Il concetto del «dito», peraltro, verrà ripreso dalla Daria (chiamiamola anche noi così, con l'articolo lombardo come facevano gli amici) in Prima e dopo («Prima di te l'eterno e dopo te / l'eterno. E tu nel mezzo, un dito / di vita da bere in un colpo»), ma nessuna delle due poesie figura nell'autoantologia Altri amici (1956-1985).E, per finirla con i preliminari, il dono editoriale di Ladolfi sarebbe stato perfetto se avesse usato un bel carattere Times o Garamond anziché il farmaceutico Trebuchet.Daria Menicanti (1914-1995) è poetessa stabilmente milanese che durante e dopo gli studi universitari entrò nel circolo vivace e pluriforme degli allievi di Antonio Banfi (1886-1957), il filosofo problematicista e “di sinistra” che fu tra i primi a occuparsi di Husserl in Italia. Del variopinto cenacolo facevano parte Remo Cantoni (1914-1978), Giulio Preti (1911-1972), Dino Formaggio (1914-2008), Enzo Paci (1911-1976), Antonia Pozzi (1912-1938), Maria Corti (1915-2002), Vittorio Sereni (1913-1983). Daria sposò con rito civile Giulio Preti nel 1937, separandosene intorno al 1951, quando Preti si trasferì all'Università di Firenze, ma continuando un intenso sodalizio intellettuale e amicale, bene illustrato da Fabio Minazzi (che di Preti è biografo) nel saggio raccolto in appendice e come è alluso nella poesia Prima e dopo già citata.Il curatore Vecchio insiste con paragoni tra la Daria e Antonia Pozzi, ma si tratta di esperienze distanti, tanto più che le due poetesse (che furono anche colleghe nell'Istituto Schiapparelli di Milano nell'anno scolastico 1937-38) non ebbero fra loro particolare frequentazione. Del resto, Antonia Pozzi si tolse la vita proprio nel 1938, e il primo libro organico della Daria, Città come, è del 1964, nel quale la poesia più antica è del 1959. Quindi, per un confronto fra le due non amiche, bisognerebbe conoscere ciò che scrivevano negli stessi anni, ma della Daria sono conservati solo nove testi giovanili assai poco pozziani e ancora privi della cifra ironico-lirica della maturità menicantea. Va anche detto che l'amico Vittorio Sereni (che pure propizierà la Daria presso Mondadori) all'inizio fu molto duro con i versi della Daria, troppo, a suo dire, ungarettiani.A Città come, seguirono Un nero d'ombra (1969), Poesie per un passante (1978), entrambi nello “Specchio” mondadoriano. Il manoscritto di Ferragosto era già approntato per la stampa da Sereni, ma alla di lui morte (1983) gli editor di Mondadori restituirono villanamente il testo all'autrice, come amaramente ricorda l'amica Lalla Romano. Il libro uscirà nel 1986 presso Lunarionuovo di Acireale, con introduzione di Marco Marchi, mentre Ultimo quarto sarà stampato da Scheiwiller nel 1990. Apprezzata dagli amici – oltre a Sereni e alla Romano, Aldo Borlenghi (altro poeta importante su cui bisognerà ritornare), Luciano Anceschi, Bartolo Cattafi, Carlo Betocchi, Silvio Raffo – la Daria può ritrovare l'interesse del pubblico grazie all'utilissima antologia ladolfiana, che comprende anche gli ultimi testi degli anni Ottanta e Novanta, fra cui quella Nostalgia che uscì sul n.365/66 di «Studi cattolici» (luglio/agosto 1991), di cui ragioneremo in altra sede, con maggior spazio anche per valutazioni critiche.
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