giovedì 30 dicembre 2004
Nella cappella privata non soltanto pregavo, ma rimanevo anche seduto e scrivevo. Lì scrissi i miei libri, tra cui la monografia Persona e atto. Sono convinto che la cappella è un luogo da cui proviene una particolare ispirazione. È un enorme privilegio poter abitare e lavorare nello spazio di questa Presenza, una Presenza che attira, come una potente calamita. Ci stiamo per avvicinare al solito rituale dei festeggiamenti di fine anno, rumorosi e scontati come sempre. La situazione economica tutt'altro che florida non impedisce che si folleggi scialando, dissipando denaro e talora dignità personale. Mi piace, perciò, accostare per contrasto il silenzio di una cappellina, quella dell'episcopio di Cracovia: là si ritirava a pregare ma anche a scrivere Giovanni Paolo II quand'era vescovo di quella bella città polacca. Ce l'ha ricordato lui stesso nel libro autobiografico Alzatevi, andiamo! (Mondadori), pubblicato lo scorso maggio, dal quale abbiamo estratto una sorta di piccolo ritratto. Ciò che mi sembra suggestivo è innanzitutto il fatto che egli si ritirasse in cappella anche a scrivere e non solo testi spirituali ma anche saggi teologico-filosofici. È l'atto di presentazione di una vita nei suoi momenti più alti e più intensi. È per noi un invito a varcare oggi la soglia di una chiesa per rimanere seduti, in silenzio, davanti a Dio facendo scorrere davanti a lui la nostra storia. Anche il "santo bevitore", ubriaco e dimenticato da tutti, descritto da Joseph Roth nel suo romanzo e da Ermanno Olmi nel suo film, entra in chiesa e si lascia conquistare dal volto di luce di s. Teresa di Lisieux. Ma c'è un elemento capitale nel brano del Papa che solo nella purezza della fede è percepibile: è la Presenza invisibile eppure efficace che «attira come una potente calamita». È il mistero del Dio glorioso e vicino che ci avvolge e ci pervade, ci inquieta e ci dona pace.
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