sabato 2 novembre 2019
«Il parroco errante»: titolo ("Repubblica", 30/10, p. 21). Richiama tempi in cui si diceva "erranti" a proposito dei nostri «fratelli maggiori», come tali non ancora riconosciuti, uomini e donne costretti a "errare" a causa di antichi ostracismi che oggi ci appaiono in chiara contraddizione con il Vangelo. Qui però si tratta di "preti" partendo da un "don Beppe", e nella descrizione della difficile esistenza dei preti mi colpisce questa parola che vorrebbe dire una realtà indiscussa: «Il prete è un uomo solo»! Seguono statistiche sui numeri, tra Piemonte e Italia, con questa frase messa sulla bocca di uno di essi: «Lavoriamo sempre di più e la gente crede sempre di meno». Parrebbe realtà totale, ma forse c'è qualcosa da aggiungere, o almeno di cui tener conto.
È proprio vero che il prete come tale è un uomo solo? Risposta elementare: se la solitudine dice mancanza di una sposa è evidente che essa esprime una realtà che conta anche nel vissuto di tanti preti ieri e oggi in maniera che può essere esaltante, ma a sua volta anche spesso deprimente, ma se invece si guarda a quell'aggettivo nella sua assolutezza occorre ricordare che se un prete è davvero "solo" la cosa è dovuta anche ad altro. È solo, infatti, il figlio di un padre che se ne sta lontano, è solo il fratello di famiglia numerosa che non frequenta genitori e fratelli, e allora la prima cosa cui pensare per affrontare il tema della "solitudine" dei preti "veri" non è il celibato, ma la vita della Diocesi nel rapporto profondo tra paternità episcopale, figliolanza presbiterale e fraternità con tutti i fratelli nel servizio.
Quindi, e ben al di là di tematiche certamente importanti e di recente trattate anche nel Sinodo, oggi vale la pena di aprire una riflessione sulla realtà concreta nei rapporti tra preti, vescovi, popolo di Dio e gente. A quest'ultima in genere pensano i preti: è la loro missione, fatta di annuncio e servizio. Ovvio che a essa debbano pensare anche i vescovi, ma capita spesso che se ai preti non ci pensano i vescovi finisce che non ci pensa nessuno, e questa sì che è una brutta "solitudine", da cui come recitava l'antico ritornello che cantavamo da bambini «si deve fuggire»!
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