martedì 8 giugno 2004
Le chiacchiere sono diventate una droga, come confermano i milioni di telefonini usati da milioni di concittadini anche quando guidano l'auto o sono al gabinetto, per dirsi cose di nessuna importanza o risapute, purché la nube immensa di parole si gonfi in continuazione. Purché non scenda il terribile silenzio in cui uno può chiedersi: Ma chi sono? Perché sono al mondo? E inorridire. Ha un bel dire la voce suadente dell'Eurostar di tener bassa la voce e la suoneria o, meglio, di spegnere i telefonini. A me è capitato di fare un Milano-Venezia con i vicini di treno implacabilmente incollati ai loro cellulari (oramai sembra che le persone siano un'appendice di quell'oggetto e non viceversa) in un'ininterrotta serie di chiamate e risposte, ostentando i loro affari, rivelando le loro banalità, declinando
la serie infinita delle loro chiacchiere. Il giornalista Giorgio Bocca che ho sopra citato punta diritto alla sostanza: dietro «la nube immensa di parole» si nasconde il vuoto. Se non avessero la droga del telefonino per inanellare vacuità e vanità, pensereste forse che costoro siano in grado di leggere un testo serio, di riflettere ai loro problemi veri, di pensare alla loro famiglia? No, piomberebbero nella realtà autentica della loro anima che si sta svuotando, temerebbero l'affiorare di quelle domande di senso che rendono l'uomo diverso da una bestia o da un sasso. E' per questo che un po' tutti ci stiamo atterrendo quando c'è silenzio o solitudine, perché quelle domande si presenterebbero come l'ombra di Banquo"
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