mercoledì 29 dicembre 2004
Come un giunco del canneto l'umanità viene spezzata! Il migliore fra i giovani, la migliore fra le giovani sono tolti via dalla mano della Morte, la Morte, che nessuno ha mai visto, di cui nessuno ha conosciuto il volto né inteso la voce: la Morte crudele che spezza gli uomini. No, non è uno scrittore esistenzialista del Novecento a comporre queste righe così severe e incisive sulla morte. È, invece, un antichissimo poeta babilonese vissuto più di 4000 anni fa, l'ignoto autore dell'Epopea di Ghilgamesh, a noi giunta su dodici tavolette di creta, ritrovate nella biblioteca del re assiro Assurbanipal a Ninive, nei pressi dell'attuale Mossul, in Irak. Rievochiamo questi versi mentre si sta spegnendo l'anno e lo facciamo non tanto per rovinare la festa che si è soliti celebrare a suggello dei giorni finiti e in attesa dei nuovi che tra poco scorreranno. Lo facciamo perché, anche rimuovendola, la morte s'affaccia ininterrottamente alla ribalta della vita. Ora è una guerra, altre volte è una catastrofe naturale o, più semplicemente, è un incidente automobilistico o, ancor più scontatamente, è lo spegnersi di una persona cara. Anche l'anno che sta tramontando ha visto il passaggio tra noi della morte, talora nelle vesti solenni dei personaggi noti o dei terribili fatti di cronaca, altre volte nella nascosta semplicità degli spazi domestici. Il passo di quella figura «che nessuno ha mai visto, di cui nessuno ha conosciuto il volto né inteso la voce» si è rivolto verso capanne e palazzi, senza distinzioni. Ha ignorato età e classi sociali, cultura e sentimenti. Eppure noi non vogliamo mai adattarci a quel ritmo, non vogliamo mai prepararci a quell'evento, non cessiamo di aggrapparci egoisticamente a quelle cose caduche che dovremo lasciare, non pensiamo a quel "dopo" che ci attende.
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