mercoledì 26 febbraio 2020
Il barista del mio quartiere a Milano domenica era molto arrabbiato: avevano annullato la partita di calcio. «Ma che c'entra, se uno sta male va all'ospedale a curarsi – è sbottato mentre serviva i caffè –, cosa vuol dire bloccare la partita?». Davanti a lui la gente al banco non commentava. Quando poi avrà saputo che alle 18 doveva chiudere le serrande, come sarà rimasto? Le precauzioni per cercare di limitare l'espandersi del Coronavirus stanno mettendo a dura prova proprio il comparto più vivace, quello del tempo libero, della convivialità, del turismo. In poco tempo le strade sono diventate deserte e lo spettro della recessione sta tramutandosi in realtà. Davanti all'emergenza gli atteggiamenti sono i più disparati, vanno dall'incoscienza al panico, che sono le due facce della stessa medaglia. Si vorrebbe parlare di Vo' Euganeo e di Codogno in positivo, ma citando le tipicità enogastronomiche di quei luoghi si rischia di ghettizzarli senza motivo. L'esposizione mediatica viaggia a livello mondiale e per una persona che sta dall'altra parte del mondo Codogno è Italia, punto e a capo. Quante volte gli strateghi del marketing ci hanno spiegato che era difficile promuovere una valle, una città, una regione agli occhi di un mondo che, rispetto al nostro Paese, ha pochissimi punti di riferimento: Roma sicuramente, ma anche Milano e Venezia che in qualche modo ricorrono nei bollettini di questa guerra contro un virus sconosciuto. Fra i messaggi che mi sono arrivati sul telefonino, mi tengo stretto quello di Alejandro che vive in un Paese poverissimo come il Venezuela e dice: «Penso che quello che sta accadendo sia un'occasione per iniziare la Quaresima guardando il nostro niente e volendo il bene che abbiamo ricevuto, anche il bene comune». Non so se il barista del mio quartiere potrà avere questa percezione, ma è proprio nella difficoltà, nella mancanza di qualcosa, che matura di più la consapevolezza di ciò che avevamo, di ciò che siamo. E il domani non potrà essere come prima. Anche il rettore del santuario di Oropa, dove si sono recati i miei amici a pregare, ha detto che «questa occasione ci permetterà di ritornare a desiderare ciò che il Signore ci ha sempre regalato, di riscoprire che tutto è dono, non solo la messa negata in molti luoghi, ma anche la salute, il lavoro, la libertà di viaggiare, di comperare, di divertirci, di ritrovarsi fra amici». Anche la politica oggi deve fare i conti come non mai su cosa sia il "bene comune": significa fare scelte, anche dolorose dal punto di vista economico e sociale, mettere al centro le vere priorità. Fra cui la ricostruzione di una filiera, quella agroalimentare e turistica, che oggi sta pagando un conto salatissimo, come del resto ciascuno di noi.
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