mercoledì 26 maggio 2021
«Io che sono vicino alla morte, io che sono lontana dalla morte, io che ho trovato un solco di fiori che ho chiamato vita perché mi ha enormemente sorpreso che da una riva all'altra di disperazione e passione ci fosse un uomo chiamato Gesù. Io che l'ho seguito senza mai parlare e sono diventata una discepola dell'attesa del pianto. Io ti posso parlare di lui». La purezza dei versi di Alda Merini rivela il mare di Maria aperto sull'oceano delle donne, in cui naviga la nave della storia e della Parola. Già quella vicinanza così lontana alla morte e prossima al corpo quando si protende e si arrende, è un primo affondo; tale è la passione avvinghiata alla vita che pari è solo la disperazione di chi, come nessuno, è prossimo alla morte. Presenza muta e stupita a quell'intreccio mai disgiunto, resistenza di sguardo, cera di metallo. L'ossimoro di cui sa l'esistenza di ogni "mortale": esplosione di canto che presto si traduce in lamento o, meglio, è un tutt'uno con esso. E lei resiste lì, tra le due rive del fiume della vita, aspettando ancora la sorpresa del figlio e temendo di doverlo abbracciare come un ecce homo. Lei, a sopportare la distanza di Dio, dove si leva eterna la querela di Giobbe: «cosa ti ho fatto, o custode dell'uomo?», come un solco di fiori.
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