sabato 16 gennaio 2021
Quando hai la fortuna di avere di fronte un'occasione di quelle che capitano una volta nella vita puoi dare il meglio di te stesso per coglierla. Ma non puoi illuderti che l'eccezionalità del momento modifichi improvvisamente il tuo DNA. La versione più recente del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è lo specchio più fedele delle caratteristiche distintive della classe politica che governa oggi l'Italia. Subito dopo aver riconosciuto gli oggettivi miglioramenti rispetto alla prima bozza del Piano, occorre segnalare che resta un documento estremamente "politico" e poco tecnico. Chi vi cerca idee nuove o scelte concrete di politica economica e sociale rimane deluso nel leggere molti obiettivi generici, affermazioni di principio, stanziamenti per macro-capitoli. Emergono due deficit paralleli di questo Piano: il progetto italiano per il Next Generation EU manca di visione strategica e di concretezza operativa, come hanno denunciato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, e altri rappresentanti del mondo produttivo. In questa caratteristica del Piano c'è molto del DNA di questo Governo: molto più attento alla "produzione di consenso" che alla "produzione reale" e ai suoi protagonisti, molto più concentrato sulla composizione interna dei conflitti politici che sul confronto esterno con i protagonisti del mondo dell'economia e del lavoro. Con conseguenze negative sulla "effettività" delle scelte compiute dal Governo, sulla loro efficacia e sul loro impatto reale. Intendiamoci: i tre assi strategici del Piano – digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale – sono totalmente condivisibili. Così come l'impostazione di fondo, che mette al centro lo sviluppo "verde" del Green New Deal e l'innovazione "blu" della digitalizzazione di imprese e pubbliche amministrazioni. Ma risolto il problema del consenso, il documento non affronta neanche la questione della declinazione operativa di questi grandi obiettivi: è molto deficitario rispetto agli strumenti, non contiene analisi di impatto, non cita indicatori di performance, definisce raramente obiettivi-target da raggiungere. Tutto ciò non favorirà il suo esame a Bruxelles e richiederà integrazioni settore per settore per chiarire come intendiamo usare le risorse. C'è ancora tempo (fino ad aprile 2021) per rifinire e approfondire il Piano. Rimane il rammarico per un Paese, primo beneficiario delle risorse di questo Piano europeo straordinario, che continua a considerarlo uno strumento di "Recovery" e non un progetto rivolto alla "Next Generation".
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