martedì 10 marzo 2020
«La paura della paura»: così ieri su “Repubblica” (p. 28) per questa acuta e amara riflessione di llvo Diamanti lungo un solco che su queste pagine si è tracciato a fondo: «Oggi gli stranieri siamo noi, lontani dagli altri e sempre più soli, ma così rischiamo di perdere la speranza». Mi colpisce quest’ultima nota. Sperare: cosa è? In sostanza vuol dire vivere: senza speranza non c’è vita. Pensiamoci su! Speranza, in italiano come in francese e spagnolo, viene dalla radice Spat, da cui anche spatium. Spazio, quindi: la base ampia della vera speranza la rende irrovesciabile anche nelle tempeste dell’anima, e del corpo. Nelle lingue anglosassoni speranza è Hope, dalla radice del verbo huepfen, saltare. Perciò il fantino che vuole far scavalcare l’ostacolo ordina al cavallo “hop!” e quello salta. In greco speranza è elpís, che all’origine iniziale ha un digamma, la nostra “v”, poi perduto nell’uso e quindi è velpís, che richiama la radice di voluptas e indica la passione con cui si vive... Ecco: senza speranza non c’è futuro, e senza futuro anche il presente perde senso e direzione: si è morti ancora da vivi. E la morte spaventa. Notizia di oggi: morto Max Von Sydow, l’attore di Ingmar Bergman che con paura del prossimo e di se stesso all’inizio de “Il posto delle fragole” incontra la bara della sua morte. Ma la speranza ebraico–cristiana dice che anche in fin di vita sei al penultimo capitolo. L’ultimo è la promessa: presenza, vicinanza, figliolanza di un Dio infinitamente buono che per toglierci ogni paura del presente e del futuro è passato Lui stesso per primo per la solitudine vincendola con il grido di speranza che ha salvato il mondo: «Nelle tue mani affido il soffio della mia vita». Per questo l’evangelo è il buon annuncio di salvezza universale. Per questo «l’amore scaccia via la paura»! Parola sua...
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