venerdì 10 dicembre 2004
La vecchiaia è come una muraglia che ci separa dal resto dell'umanità e si fa a mano a mano più alta: ogni anno che passa è un'altra fila di mattoni che ad essa si sovrappone. Coi giovani vorremmo parlare anche attraverso il muro, magari bussando con le nocche o coi pugni al modo dei carcerati. Ma costoro non odono o non ascoltano, ghignano, contano le fila dei mattoni e son capaci di rinfacciartele. Roberto Ridolfi, storico e saggista fiorentino (1899-1991), scriveva queste parole così aspre e amare sul Corriere della Sera nel 1969, quando compiva 70 anni (il titolo dell'articolo era appunto Settanta). C'è un po' di eccesso nelle sue parole, eccesso che però non ne cancella la verità profonda. In una società che è tutta sbilanciata sul fare e sull'apparire è scontato che l'anziano si senta progressivamente emarginato, inutile e recluso all'interno della muraglia dei suoi anni. I giovani stanno dall'altra parte ove si allargano gli spazi vasti della vita e del mondo. Bisogna, però, aggiungere una nota a questo ritratto che - lo ripetiamo - è realistico (basti solo vedere la tristezza dei ricoveri per gli anziani, ove essi perdono ogni dignità e rispetto, ridotti al rango di bambini, trattati col "tu"). C'è, infatti, la possibilità di vivere un'esistenza intensa anche da vecchi: dietro quel muro si può ancora tener viva la fantasia, la musica, l'ascolto, la fede, l'attesa. Il libro biblico della Sapienza ci ricorda che «la canizie per gli uomini sta nella saggezza e la longevità vera in una vita senza macchia» (4, 9). Si possono ancora coltivare i grandi valori dello spirito anche se rinchiusi nel muro di mattoni della vecchiaia.
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