domenica 14 marzo 2004
Se il mare fosse inchiostro per scrivere le parole del Signore, si esaurirebbe il mare prima che si esauriscano le parole del Signore, se anche portassimo un mare nuovo ancora in aiuto.L"iperbole è una figura letteraria molto cara alle culture orientali che amano l"enfasi, i colori accesi, l"eccesso emotivo. Così accade anche a questo passo del Corano (XVIII, 109), destinato a celebrare l"infinita grandezza del Signore. Certo è che le parole divine, proprio perché scaturiscono da una sapienza perfetta e piena, hanno illimitate sfumature e iridescenze, richiedono continuo scavo e approfondimento. Ma noi vorremmo riprendere solo la metafora del "mare di inchiostro" per riesumare un atteggiamento spirituale, quello della coscienza della propria finitezza di fronte al mistero.C"è incombente su di noi il mistero della natura, le cui stesse unità di misura sono inconcepibili. C"è in noi il mistero della complessità del nostro cervello in cui un centinaio di miliardi di neuroni sono collegati tra loro da un milione di miliardi di connessioni (le "sinapsi"), capaci di 100300 combinazioni interattive! C"è, poi, il mistero della trascendenza divina! Se ci affacciamo su questo orizzonte, o dobbiamo reagire come fa Maometto nel passo coranico citato oppure comportarci come Giobbe che si mette la mano sulla bocca (40, 4), in un"attitudine di umile stupore e silenzio. L"uomo che spesso si illude di essere un sovrano senza leggi, arrogante e prevaricatore sul creato e sugli altri, dovrebbe più spesso sedersi taciturno e, in una notte, contemplare gli spazi infiniti che sono in lui e fuori di lui e mettersi la mano sulla bocca,  spegnendo il suo blaterare altezzoso.
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