martedì 28 maggio 2019
Si chiamava Dudù il Gagà e Enrico Montesano l'aveva reso famoso facendogli dire, con quella voce gagarosa - appunto - «Oh come mi sono divertito! Oh come mi sono divertito!». M'è tornato in mente, l'altra sera, mentre mi godevo una domenica calcistica coi baffi, all'antica, come se non fosse stata devastata dalle paytivù che coi soldoni - non rubando, per carità - hanno comprato l'anima del gioco da famelici presidenti pronti a redistribuire ingenti capitali ai pedatori - soprattutto esotici - che spesso vedi passeggiare sui campi verdi, neghittosi, viziati: se per caso vincono pretendono - ottengono - anche il premio partita. Sono molto giovani, certi telecronisti, o istruiti a dovere al nuovo corso: gridavano senza sapere (?) che il calcio una volta era sempre così. Sempre. Mentre per qualcuno gli entusiasmanti incroci di Firenze e Ferrara, gestiti da San Siro, riportavano alla memoria altri finali d'altri tempi. Veraci, dolci o velenosi, i dopogol di Inter-Empoli, Keità, Traorè, Nainggolan si potevano leggere sul viso di Prandelli e Andreazzoli, il primo infine risparmiato dal Fato, il secondo ingiustamente condannato dai santi patroni del pallone sicuramente colpiti da sudditanza. Ahimè, non sempre il calcio vero vince, chi lo vive da sempre lo sa, spende buone parole per il Vinto, critica il Vincitore, ma dal dì seguente fa i conti con l'Almanacco - aride ma spesso storiche cifre - e non il Libro Cuore, come hanno scelto di fare ormai da tempo a Roma dove, in mancanza di trionfi imperiali, si accontentano di addii strappalacrime, prima Totti, poi De Rossi. Ma vi ricordate, vecchi amici giallorossi, quando vincevate gli scudetti? Quello di Sensi (e di Capello) è stato festeggiato per mesi. Una realtà, non una favola. Gli addii che hanno trasformato Roma in una valle di lacrime - dove non si possono costruire stadi, ovviamente - mi hanno fatto ripensare a Spalletti, alla sua uscita di scena con battute finalmente da certaldese (boccaccesco?) e non da filosofo hegeliano mal tradotto. Un anno fa - era appena scampato alla congiura tottiana dei Venditti e dei Verdone che avevano tradito un'amicizia con lui per inginocchiarsi davanti al Re Pupone - trascorremmo ore insieme, lo trovai frizzante, pronto ad affrontare la “prova del toscano” - per dire Orrico, Tardelli, Lippi, Mazzarri - con la misura giusta di un navigato e colto mister europeo (la Russia, volendo, è Europa). E pareva esserci riuscito, fino al fatale episodio del Capitano Degradato che ha cambiato la storia sua e dell'Inter. Per fortuna salvando la Beneamata ma lasciando una traccia - cara agli ingranaggi mentali degli interismi - per riprendere polemiche nel prossimo campionato. Mettiamo che Conte non vinca subito, giuro che qualcuno comincerà a dire «avete cacciato Spalletti che ci ha portato due volte in Champions». Oh come mi divertirò, oh come mi divertirò.
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