giovedì 13 marzo 2014
Laurence d'Arabia non è citato nei libri di testo giordani come uno dei liberatori di quel popolo, mi dicono, perché straniero. Prima che cali la notte, mi faccio portare in pieno deserto, al confine con l'Iraq. Voglio dormire solo nella tendina che è un tutt'uno, tenda e fondo, monoposto. Le stelle nel deserto sono come su nel mar Baltico... Rimasto solo e rintanato, incominciò l'inferno. Il vento schiacciava la mia tendina da ridurla ad un toast imbottito dalla mia persona. La tempesta di sabbia e l'acquazzone mi annegavano. Il vento, come un cucchiaio, mi raccoglieva spostandomi, ma di quanto? Uscii e la tendina volò lontano; mi aggrappai a un dente di roccia, sapendo che le dune vengono e vanno, come una scala mobile. Mi raccomandai al Padreterno. Ero rivestito di fango, accecato, come una statua di terracotta. Sputavo sabbia dappertutto. Verso mattina, più morto che vivo, le ore non le avevo seguite. Era come se il chiarore, silenzioso, avesse fermato la catastrofe. Ebbi fortuna. Mi caricarono su una jeep, che sembrava una barella. Il beduino mi parlò dei suoi 35 figli da quattro mogli. Sarebbero venuti in Italia. La sabbia rossa mi aveva fatto tornare, nel colore della barba e dei capelli, il giovane quasi fiammingo che ero stato, un tempo che fu.
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