martedì 9 ottobre 2012
Di nuovo Giorgio Manganelli, per riflettere brevemente assieme a lui, grazie alla sua sottilissima prosa, sul viaggio. Nella premessa all'Infinita trama di Allah. Viaggi nell'Islam 1973-1987, Manganelli racconta come un suo amico – quello che gli somigliava di più e che è vissuto in coabitazione forzata dentro di lui per tutta la vita – si sia staccato dalla sedentarietà che credeva connaturata, un unico letto, poche sedie, vitto semplice e ripetitivo, e si sia scoperto viaggiatore. Un giorno, con un certo stupore, si accorge che l'atlante non è un trucco e che il mondo è pieno di uomini in modo scandaloso. Questa consapevolezza lo trasforma in un essere frastornato, tremulo, affannato. Ma dopo dubbi, tachicardie, entusiasmi seguiti da panico, si rende conto che l'alternativa al viaggio è il «nonviaggio», una condizione di stallo, «aria viziata», una resa passiva, e che deve viaggiare perché la sua vita non si sbricioli. Il viaggio allora si fa pellegrinaggio, dentro un Islam – sono gli anni Settanta e Ottanta – che era ancora «anima e mondo». Ma, al di là della meta, scopre soprattutto che, mentre molti suoi compatrioti sprecano la vita in modesti litigi, «il mondo esiste» (semplificazione ironica che mi sembra salutare per tutti) e che viaggiare insegna che gli uomini sono uguali, e sono diversi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: