giovedì 29 marzo 2018
La formazione di un nuovo Governo, tanto più se di (necessaria) coalizione, è sempre l'occasione per mettere a confronto e bilanciare istanze politico-culturali diverse, e per testarne la compatibilità. Senza pretesa né titolo per dare indicazioni ai protagonisti della vita parlamentare, mi limito ad alcune considerazioni che stanno dentro l'orizzonte di questa rubrica: a monte dell'insoddisfazione che affiora nelle società contemporanee (e forse anche in alcune sue espressioni in termini di democrazia elettorale) si trova infatti un problema di giustizia. Qui per giustizia intendiamo oggi non il complesso dell'attività giurisdizionale e dei suoi esiti, quanto piuttosto «la creazione di istituzioni concepite per garantire al meglio una vera libertà per tutti».
La definizione, dello studioso belga Philippe van Parijs, è citata nel volume postumo di Zygmunt Bauman Retrotopia: una sorta di dialogo tra Bauman e alcuni dei più illustri indagatori dell'odiernità, da Eco a Walzer, da Beck a Merton, da Bergman a Offe, il cui filo conduttore profondo è proprio la giustizia, o meglio la percezione dell'ingiustizia e delle diseguaglianze che la generano e che da essa sono generate, sul cui sfondo prendono corpo quelle tendenze (guerra di tutti contro tutti, spirito di “tribù”, isolamento reale o virtuale) che caratterizzano il nostro tempo.
Quale rimedio contro le diseguaglianze Bauman prende sul serio la proposta di reddito universale di base (una versione estrema di ciò che chiamiamo reddito di cittadinanza), soppesandone pro e contro, e finendo, con Claus Offe, per privilegiarne la versione caratterizzata da gradualismo e reversibilità e per affermare che una tale proposta comporti necessariamente un rafforzamento del progetto di integrazione europea e la realizzazione di un'Europa “sociale”. Il sociologo polacco è consapevole degli ostacoli che si frappongono a un tale progetto e in particolare delle spinte ad alzare muri, a distinguere tra “noi” e “loro”, tra la propria “civiltà” e le altrui barbarie. Per resistere a tali tentazioni Bauman, riprende da papa Francesco il suggerimento della strada e della cultura del dialogo, quale invito rivolto non soltanto ai politici di mestiere, ma in primo luogo alle persone comuni, chiamate «a riconoscere l'altro come un interlocutore valido». Per fare ciò, occorrono modelli economici più inclusivi ed equi, insomma «il passaggio da un'economia liquida a un'economia sociale». Per noi europei, questo significa tenere insieme la lotta alle diseguaglianze (anche progettando con attenzione nuovi strumenti di inclusione, e le proposte di Bauman e Offe sono interessanti in questa direzione) e la prospettiva di un'Europa più «sociale»: un matrimonio che s'ha da fare, oggi più che mai.
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