martedì 25 febbraio 2020
Un professore dell'Università di Salerno, Antonio Papa, autore insieme a Guido Panico della Storia sociale del calcio in Italia, il libro più importante sul gioco più amato dagli italiani, un giorno mi coinvolse in una ricerca sul tifo. Che trattammo partendo dalla parola: tifo. Era nata dopo la “Spagnola”, la peste che aveva fatto milioni di morti nel mondo, molti di più dell'appena conclusa guerra mondiale '15-'18; e aveva due versioni: una coniata dagli intellettuali secondo i quali i “tifosi” costituivano una comunità rabbiosa e violenta, una sorta di “peste sportiva”; l'altra versione, più popolare, partorita da sociologi, attribuiva ai “tifosi” una straordinaria forza consolatoria dopo una crudele e lunga stagione di lutti. Questa versione ho scelto e ne parlo, oggi, mentre la Nuova Società Disorganizzata chiude il calcio e spegne il tifo, quello sopportabile, a volte entusiasta e trascinatore: vedi i trionfi azzurri del '34, del '36, del '38, dell'82 e 2006. Vedi le immagini ripetute ovunque, in queste ore, del Presidente Pertini che ci ha lasciato trent'anni fa in queste ore. Un tifoso speciale che fece sorridere l'Italia anche quando aveva voglia di piangere. Per carità, non ho titoli per oppormi alla serrata degli stadi voluta dal governo, ho solo l'esperienza che mi permette di dire “calcio ultima spes”: quando si chiude il calcio si nega l'ultima risorsa se non quella della scienza, non sempre pronta. In due soli anni la Spagnola fece cento milioni di morti. Non state insieme, non socializzate, non abbracciatevi, non baciatevi, non stringetevi la mano. Abbiate paura. Domenica, mentre attraversavo un'Italia tremante da Nord a Sud, in auto, in treno, in aereo, fra gente che, lette quelle raccomandazioni, si scrutava senza sorrisi, anzi con aria sospettosa, mi son trovato un angolo solitario e ho visto Genoa-Lazio. Potenza dell'iPad. Datemi dello stupido: mi sono ricreato fino alla commozione. Genova per noi appassionati stava mettendo in scena il più grande spettacolo del mondo, i contrasti, gli inseguimenti, le cadute, le immediate riprese, le sfide agonistiche e le sottigliezze tattiche; e quei cinque gol culminati in abbracci e baci, oddio anche fra avversari, in ammucchiate tali da far inorridire il Ministero della Salute, sostituito all'improvviso dal calcio, da quel gioco consolatorio che non è fatto solo di schemi e cifre ma di sentimenti che rallegrano, dispongono al buon pensiero, incoraggiano. E portano fino al tifo, non quello che uccide, quello che dà anche la felicità. Ero solo, ho visto anche bel calcio fra due squadre che meritano il massimo successo, la salvezza e lo scudetto. Ho sentito l'applauso fragoroso e sincero per il Genoa e per la Lazio insieme. Ho goduto egoisticamente di uno spettacolo tutto mio. Per favore, non fermate il calcio. Fate giocare le partite a porte chiuse, anzi, in televisione. Cambierà poco nella sostanza sportiva e almeno resterà, a questo Paese spaventato, la gioia tutta casalinga della Partita. Così l'autoquarantena sarà una medicina vera, non un placebo.
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