sabato 3 ottobre 2015
ATunisi, Padova, San Marino, Reggio Calabria, Timisoara. Danzica, poi Benevento, Trani, Bolzano, Salerno, Assisi, Abbazia in Croazia, Bruxelles, Calavino e così via per tanti anni in città importanti ed in piccoli paesi dove vogliono sentirmi raccontare di un uomo onesto e prudente, sereno e coraggioso, forte e umile. Capitano di un popolo che ha fretta di vivere, che non conosce rivoluzioni, che non ama soffrire, generoso, ma incostante: era mio padre. Il treno, la macchina, l'aereo mi portano in posti che non conosco a parlare di ciò che ho visto e ascoltato. Faccio qualche appunto, poi lascio che la memoria mi apra una strada e dia un significato alle mie parole. A volte rileggendo alcuni pensieri scritti sui piccoli notes che porto con me, non li riconosco come miei e sorrido alla semplicità del mio dire, proporre e ricordare. Non avendo stipendio, né un incarico pubblico, né privato godo di una grande libertà di movimento e di parola che mi compensano delle fatiche e disagi dei miei viaggi. È per me offrire doni ricevuti, passare ad altri tesori che non mi appartengono, ma che debbono essere di tutti anche oggi quando la gioventù sembra cercare con difficoltà il senso della vita. In un tempo così governato dalla violenza, l'aiuto ci viene dato da chi fugge, soffre e piange perché ci impone di scoprire dentro di noi la virtù della carità, il senso della giustizia, la capacità di dividere ciò che abbiamo. È infine il rispetto di una cultura lontana della nostra, l'accettazione serena della diversità, molto di più che l'offerta temporanea di un rifugio quando i cambiamenti sono vissuti con preoccupazione ed inquietudine. Il peccato non è la paura del diverso, ma l'indifferenza quando tutti siamo chiamati alla responsabilità in piccola o grande misura. Penso anche al mondo dei tecnici e studiosi dei fenomeni dell'universo che progettano missioni che daranno risultati che loro stessi non vedranno, così lontani dalla nostra vita. Penso a tutta quella intelligenza che si accende, viene usata, lascia qualcosa di sé e poi si spegne con lo stesso arco che fa una stella che muore. Mi piace immaginare che abbia una sua luce e viva girando attorno al mondo come le lucciole di un tempo quando nelle notti di campagna ci confondevano la vita. Uno strato sociale che fa la sua strada senza interrompersi né pare incrociarsi con le altre, quelle della politica, del commercio, del lavoro manuale. Non è così: respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo degli antenati ai quali dobbiamo qualcosa di noi stessi, abbiamo tutti la responsabilità della nostra vita che lasceremo con un piccolo respiro davanti alla tenerezza di Dio.
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