martedì 21 marzo 2017
Cinquant'anni fa credevo che la felicità fosse «un cucciolo caldo e un dito in bocca» (Linus-Schulz). Mezzo secolo di calcio mi ha
banalmente aggiornato: «la felicità è vincere», e mi piace rammentarlo nel giorno in cui il “Profeta della Vittoria” Giampiero Boniperti (amico mio, si licet) viene superato in minutaggio di fedeltà dal più vittorioso degli juventini, Gigi Buffon, forse anche il più felice. Escludo che possa metter naso nella nostra
storia la Norvegia, appena nominata «Paese più felice del mondo», nè temo l'happiness dell'intera Scandinavia; ci s'infila brutalmente, invece, la giustizia sportiva, cui ho tolto le iniziali maiuscole (punizione Nemecsek) perché da tempo ha rinunciato ai suoi valori tradizionali - autonomia, riservatezza e rapidità per asservirsi alla giustizia ordinaria, lentissima e spesso esercitata sulla pubblica piazza, a mo' di gogna. È entrata in Casa Juve - e in Casa Agnelli - dopo mesi di maldicenze in libertà, sorretta da un dossier di 5mila pagine confezionato dalla Procura di Torino, per far sapere che lassù c'è del marcio, ovvero il sospetto di collusione del club e del suo presidente con il bagarinaggio mafioso. Siccome tratto di calcio, già trovo infelice la chiamata in causa della Juve mentre sta vincendo lo storico sesto scudetto consecutivo e alla vigilia del duro confronto della Signora con il terribile Barcellona. Altrove si sarebbero levati alti lai e sparse calde lacrime, Agnelli si è limitato a respingere i sospetti, accompagnato dalla solidarietà del patron Fiat John Philip Jacob Elkann, il potente cugino che nel gossip figurava come oscuro (mica tanto) manovratore. È certo che in questo bel mondo spesso cialtrone si muovono orde di pseudotifosi con interessi poco sportivi e molto economici: ne denunciò pubblicamente l'esistenza l'ingenua buonanima Ivanhoe Fraizzoli, non ascoltato, anzi deriso. La Procura federale vuole giustamente approfondire, visto che l'attuale procuratore fu costretto, come prefetto di Roma, a intavolare vergognose trattative con tale Genny La Carogna in una tragica notte di Coppa Italia; certo non l'ha dimenticata, quella triste vicenda, e bene farà a colpire i malviventi da stadio, tuttavia senza esporre all'attività della macchina del fango l'unico club che nella recente storia del calcio ha duramente pagato - a differenza d'altri - il coinvolgimento in uno scandalo epocale. Ricostruendo con fatica l'immagine vittoriosa. Sempre parlando di felicità puramente sportiva, peccato che le belle imprese della Roma, caparbia inseguitrice della Juve, siano offuscate dai tormenti di Luciano Spalletti che confessa la difficoltà di «vivere qui», nella Capitale, per colpa dei giornalisti. Posso solo dirgli che due favolosi scudetti furono vinti dalla Maggica grazie a Liedholm, un saggio che viveva di vellutata ironia, e a Capello, isolato nel mondo del lavoro, estraneo alla quotidiana movida mediatica. Consiglio a Spalletti un prezioso volumetto firmato dall'Abate Dinouart:L'arte di tacere.
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