martedì 12 maggio 2015
C'era una volta il Derby del Sole, fascinosa definizione aggiunta da uno stilista per superare l'angusto concetto socio-geografico secondo il quale Roma-Napoli doveva essere semplicemente il Derby del Sud. Il Sole (che sorgeva libero e giocondo sui Sette Colli) era di per sè un'etichetta gioiosa, un annuncio di battaglia corretta e sfiziosa: c'è voluto l'ottuso impegno di un manipolo di cialtroni per cancellare anche quell'immagine serena di «volemose bene» e tramutare il confronto in una sfida di odio e morte. La Lazio s'è infilata involontariamente nel duello per conquistare un posto in Champions e tutto sarebbe bellissimo se per incanto svanissero i veleni e si potesse celebrare l'evento forse decisivo, Lazio-Roma del 24 maggio, come una festa accompagnata dal mormorar del biondo Tevere. Tento d'abbandonarmi alla poesia che tuttavia il calcio conserva in angusti spazi. Sabato ho incontrato Totò Di Natale e l'ho abbracciato come un figlio che a suon di gol mi invita tuttora alla ricerca del tempo e del bello perduti. Lo stesso effetto che mi fa vedere Luca Toni che dopo i gol - sempre stupendi - frulla le dita intorno al capo con un sorriso fanciullesco. Cronache di Giovanni Pascoli, vorrei, e invece si ripropongono, puntualmente, i racconti del disagio calcistico che il mio amico italoargentino Luis Canepa Carniglia definiva «sinverguenza»: insolente, senza vergogna. Da Parma è arrivato un segnale forte che disegna le due facce di uno sport avviato alla disfatta nel nome del business: un club secolare e glorioso, disonorato da dirigenti in fuga dopo averne provocato il fallimento, viene tenuto in vita da un allenatore di sicura professionalita' come Roberto Donadoni che ha inculcato nel gruppetto di resistenti - abbandonato dai Top Players - il rispetto del gioco e delle sue regole con aggiunta di passione e dignità; dall'altra parte, il ricco Napoli del potente De Laurentiis che si sente danneggiato dall'impegno disperato dei crociati (guarda caso impegnati in una sorta di Crociata) e li insulta («falliti, retrocessi») perchè non si lasciano portar via tre preziosi punti. Sinverguenza. Ma non è una novità: la memoria mi riporta a un Perugia-Juventus di trentacinque anni fa con alcuni bianconeri che apostrofavano gli avversari con un «ma perchè vi dannate? tanto siete già retrocessi...» che finì su tutte le prime pagine. Peccato. Peccato perché il campionato più disprezzato di sempre dai Tafazzi in servizio permanente effettivo ha ancora tre pagine importanti da scrivere, le pagine decisive del Romanzo 2014-2015 che meriterebbe di andare agli archivi con un'appendice obbligata: «È stato bello. E adesso la riforma»; augurandosi che i dirigenti istituzionali e quelli dei club siano all'altezza di ciò che il futuro chiede e non del deprecabile passato. Raccogliendo qua e là le note di una domenica inquieta, mi piace segnalare quel che è successo allo Stadio La Fiorita - dedicato al presidentissimo Dino Manuzzi - alla fine di Cesena-Sassuolo 2 a 3: i romagnoli, appena retrocessi, sono andati davanti alla Curva dei tifosi che gli hanno riservato applausi e un coro d'incoraggiamento per la B che verrà Romagna mia.
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