sabato 3 giugno 2017
«Il mondo è un villaggio», teorizzava il massmediologo Marshall McLuhan. Lo aveva forse anticipato l'orfano austriaco Hermann Gmeiner che, nel 1949, lanciò ad Imst la formula dei Villaggi SOS, esportata poi in 133 Paesi. Ed è entrato il mondo pochi giorni fa nel primo Villaggio SOS italiano, sorto a Trento nel 1963, dove in una delle 10 casette un tempo abitate solo da ragazzi italiani usciti dagli istituti e poi da famiglie in difficoltà si sono diffuse voci africane e profumi di spezie.
Quattro donne nigeriane con i loro quattro bambini (uno dei quali venuto alla luce in Italia) hanno potuto riprendersi dalla fatica e dall'ansia del loro viaggio sui barconi grazie all'ospitalità della famiglia allargata del Villaggio. Dove questa volta la figura perno della mamma – anima educativa di ogni nucleo SOS – è rappresentata da una donna africana, con l'aiuto discreto degli operatori SOS che rinnovano così la loro tradizione d'accoglienza avviata negli anni Sessanta.
«Il Villaggio non poteva non fare la sua parte», osserva il presidente Alberto Pacher, già sindaco della città. «Perché questo progetto sia efficace serve l'aiuto di tutta la collettività», anticipa il direttore Giovanni Odorizzi, dentro la progettualità di un anno. Un esempio per quanti – Comuni e privati – fanno ancora fatica ad accogliere: aprire una casa o una porta in più – rendere il proprio Villaggio un mondo – è possibile anche laddove si affrontano ogni giorno le conseguenze del disagio infantile.
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