venerdì 15 settembre 2017
Ho letto con una certa commozione, ma anche con tanta curiosità e, spesso, sorridendo di una soddisfazione un po' amara e un po' cattiva, i bellissimi Diari 1988-1994 di Bruno Trentin, l'ultimo dei grandi sindacalisti venuti dagli anni dell'antifascismo, dell'esilio, della Resistenza, della ricostruzione. Li ha editi Ediesse (un grosso volume di 510 pagine, euro 22) a cura di un fedele di Trentin, Iginio Ariemma, che è tra i responsabili della Fondazione Di Vittorio. Trentin è morto nel 2007, e ho avuto la fortuna di conoscerlo, grazie al figlio Giorgio, e di conoscere altresì, fuggevolmente, la sua compagna Marcelle Padovani a cui il governo francese ha dato pochi giorni fa la Legion d'onore per la sua intensa e preziosa attività di giornalista tra Francia e Italia. In Francia conobbi anche la sorella di Bruno, e al Centro Gobetti di Torino mi capitò di occuparmi della preparazione di un libro del padre di Bruno, Silvio, esule in Francia negli anni di Mussolini. I diari di Bruno riguardano, dice Marcelle Padovani nell'introduzione, «gli anni più difficili» per Bruno, quelli di una mutazione in atto, globale, che non poteva non coinvolgere anche la sinistra italiana e il sindacato. Insomma, gli anni di Berlusconi ma anche, in sostanza, di una immensa sconfitta storica delle idealità di giustizia sociale che avevano guidato due secoli di storia, nel mondo e non solo in Europa. Cresciuto in Francia alla scuola del padre, giovanissimo partigiano, diventato sodale di un grande sindacalista come Di Vittorio, amico di Vittorio Foa (anche se immagino che non dev'essere sempre stata un'amicizia tranquilla), nei diari Bruno ragiona giorno per giorno per se stesso, gli incontri, le riunioni, i dibattiti, gli scontri interni al sindacato e alla sinistra di quegli anni e, da parlamentare prima italiano e poi europeo, i suoi giudizi sul panorama politico nostrano sono di una illuminante precisione e durezza: spesso crudeli, ma sempre lucidissimi nei confronti delle persone e delle loro azioni. È su questi che si è appuntata la curiosità di coloro che, sui giornali, hanno parlato di questo libro, ma è d'altro che avrebbero dovuto occuparsi: della mutazione, appunto, che ha travolto anche il sindacato, che si è nel tempo settorializzato, specializzato, diviso, corporativizzato perdendo di vista il suo primario ruolo pubblico, le sue responsabilità nei confronti della collettività e di tutti i lavoratori, disoccupati compresi, immigrati compresi e potenziali lavoratori, i giovani. Una crisi e un quesito, a cui non si vedono per ora risposte.

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