venerdì 14 marzo 2014
Per un paio d'anni, ci trovammo, per vicende deamicisiane, senza reddito. Due adulti, più noi due bambini. La legna da ardere era dei nostri pioppi, potati a gennaio per non farli soffrire. Le carni venivano dai conigli, dal pollame e le tre pecore, ricciolone e bianche di lana, mettevano caldo al solo guardarle. Le verdure mi insegnavano le stagioni. C'era la frutta da sottrarre ai nostri concorrenti volatili, dal becco divoratore. Patate e cachi venivano conservati per mesi, fino a quando i tuberi germogliavano per il mio interesse botanico. La fioritura dell'uva, brevissima, non sono mai riuscito a intercettarla. Non conoscevo allora “I mangiatori di patate” di Van Gogh, mi credevo un piccolo Robinson Crusoe. La sera, le tre pecore venivano sotto la finestra, non avevamo erba sufficiente e se la dovevano procurare sulle rive dei fossi. Mia madre le benediva dicendo loro di non fare danni agli appetibilissimi orti circostanti. Rientravano sazie, all'alba. Non toccarono mai un filo d'erba dei vicini. Ma il ricordo più bello è quello circa la casa popolare che ci venne offerta. I miei la rifiutarono, ritenendo che altri avessero più necessità di noi. Non vorrei esagerare ma sapere di provenire da una famiglia come la mia, fa sentire un poco invincibili.
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