martedì 26 ottobre 2021
«È la zona, oggi, nella quale abbiamo più vulnerabilità, dove le popolazioni sono veramente nel bisogno, spogliate di tutto, con persone sfollate e dove i bisogni sociali sono enormi. Pertanto il programma che abbiamo lanciato è destinato a dotare le popolazioni di dispensari, scuole e, cosa ancora più importante, di pozzi», spiega Mikailou Sidibé, capo del dipartimento strutture del G5 Sahel. Allude a un finanziamento del governo tedesco che, nel quadro del G5 Sahel (forza congiunta di militari di Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad), darà la priorità alle popolazioni vittime del terrorismo. La zona scelta è quella del Liptako-Gourma chiamata delle “tre frontiere”: Burkina-Mali-Niger, dove la presenza terrorista accentua povertà e insicurezza. In realtà le tre frontiere sono altre!
La prima frontiera è quella dell'ipocrisia bellico-umanitaria e consiste, come da copione di film già visto, nel preparare il terreno alla creazione del caos, facilitarne il mantenimento e infine arrivare, tramite attesi finanziamenti, come salvatori della patria. Fuochisti e pompieri a seconda delle convenienze. Esattamente come i Gruppi Armati Terroristi e le Forze Regolari, di militari locali e stranieri. Commerci, armi e geopolitiche delle risorse si aggrovigliano per formare un fronte unico: finché c'è guerra c'è futuro, per i fabbricanti di guerre.
Poi c'è il delicato ambito migratorio. Prima si crea una frontiera d'Europa nel Sahel, impedendo manu militari la libera mobilità delle persone e, in cambio, si introducono piani fasulli di sviluppo e Fondi Fiduciari, che vanno alle «radici profonde delle migrazioni». La logica è la stessa di cui sopra: solo cambiano settori d'intervento, attori e dispositivi di applicazione. Anzitutto si fabbrica e s'impone un concetto di “frontiera”. Seguono quindi i meccanismi di formazione e gestione delle stesse con Eucap Sahel (Missione civile di sostegno alle capacità di sicurezza interne), Organizzazione Internazionale delle Migrazioni per i rimpatri (naturalmente volontari) e infine persino il mondo umanitario sovvenzionato. In quest'ultimo ci si occupa di lenire le ferite nella carne dei migranti, ma non tutti mettono in discussione il sistema che le produce. È questa la seconda frontiera del Sahel.
La terza frontiera, invece, separa, attraversandolo paurosamente da cima a fondo, il mondo stesso. È un abisso come nella nota parabola del ricco che banchetta quotidiamente con gli amici nel suo palazzo e del povero Lazzaro che, invisibile ai suoi occhi, giace alla porta cercando di sfamarsi con le briciole che cadono dalla mensa. L'abisso esiste e cresce grazie anche alla globalizzazione dell'invisibilità dei numerosi Lazzari che oggi assumono l'onore e l'ònere di trasformare il mondo a partire dalla debolezza. L'abisso tra Nord e Sud non è solo tra i continenti ma si riproduce all'interno degli stessi continenti, nei Paesi, nelle città e nelle campagne dimenticate, tra le generazioni e infine nello spirito umano più profondo chiamato cuore. Questa terza frontiera è modello e prodotto delle due già citate. In genere si manifesta all'esterno con muri, reticolati, campi di detenzione, cimiteri delocalizzati e confinamenti di popoli interi.
Ecco perché i guardiani delle radici e i costruttori di ponti sono visti dall'abisso come una minaccia. E solo da loro germoglia il futuro di una quarta frontiera chiamata utopia.
Niamey, 24 ottobre 2021
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