giovedì 25 ottobre 2018
Quanto poco la cultura umanistica abbia in questi ultimi cent'anni reso più umana l'umanità lo ha sottolineato con forza e mostrato con veemenza il grande critico Giorgio Steiner non molto tempo fa, sia in una conferenza tenuta in Olanda, sia in un libro, che, col suo solito acume, ha scritto sulle università che abdicano al loro dovere e al cómpito che dovrebbero svolgere. Ma, per farla breve, dov'è mai andata a finire quella cultura umanistica, se trattiamo delle lettere latine e greche? Esse sembrano essere scomparse, dileguatesi al vento; al loro posto non so più che “scienze dell'antichità” si sono impadronite del regno; son quelle che i tedeschi, con una parola difficilmente pronunziabile, chiamano Altertumswissenschaften. Chi, se non un pazzo, potrebbe negare che esse abbiano apportato notevoli progressi agli studi storici, alla critica, all'emendazione dei codici, alle indagini grammaticali? Tuttavia rimane intollerabile il fatto che queste dottrine, esercitando un dominio tirannico, abbiano scacciato, condannato a un esilio perpetuo e non senza infamia quella cultura umanistica, che aveva portato così grandi e così numerosi benefici al genere umano per lunghi secoli; che abbia ritenuto ingenui e quasi ridicoli coloro che dai testi classici desiderano raccogliere semi di virtù, grazie ai quali possano vivere una vita migliore, sollevarsi a un più alto ideale, progredire ad un modo di comportarsi onorevole, tentare insomma di conoscere più nel profondo di che natura sia l'uomo. Stando così le cose, mentre così gravi pericoli incombono sulla cultura, e benché non sia vano timore che s'interrompa del tutto quel colloquio continuamente istaurato dagli uomini coi loro antenati grazie alle lettere; quel colloquio che essi hanno coltivato a lungo, di cui han goduto per almeno frenare l'intemperanza degli animi nel corso di secoli e generazioni; nonostante tutto ciò, non mancano persone che, non so se per leggerezza e stupidità o per inganno malevolo, dicono a vanvera e vanno affermando, senza aver meditato sulla cosa, che il latino è “vivo” se per caso qualche burlone bizzarro fa parlar latino un nuovo burattino, a mo' di Pinocchio; se qualche non saprei dire se oziosissimo o furbissimo cacciatore di stolti, abbia tradotto in un improbabile e zoppicante latino una qualche canzoncina sfrenata dell'età nostra; se alcune teste strampalate e singolari di perdigiorno, che si sono stufati della loro oscura fannullagine, proferiscano in latino, non senza gonfia superbia, a un giornalista cacciatore di mostri insoliti i nomi delle più minute parti d'un marchingegno appena inventato. Ma se questa, e nient'altro che questa, è la vita del latino, bisogna confessare che la lingua latina è veramente morta; che al suo posto non resta altro se non un'ombra, che talora sembra svolazzare di qua e di là: uno scherzo, un gioco, che non ha nessuna influenza, nessun peso, nessuna importanza affatto nelle vite degli uomini d'oggi, nella cultura dell'epoca nostra. Potremo dire ancora davvero vitale la vita del latino, se sentiremo i Valla, i Cusani, i Pichi, gli Erasmi, i Grozi, i Gravina, i Vichi e moltissimi altri che parlano ai vivi, che oggi sono oppressi da problemi, s'angosciano, tentano di vincere le iniquità e le ingiustizie, coltivano speranze, sogni, amori, gioie; se, dopo avere ascoltato le parole di quei grandi, potremo guardare alle cose da un'altra prospettiva rispetto a quella che gli araldi delle magnifiche sorti e progressive predicano ovunque; se i loro pensieri e le loro idee infiammeranno gli animi dei giovani a migliori e più sublimi imprese; se saranno in grado di liberarci da quel servilismo, in forza del quale siamo soliti schiavizzarci alle mode e ai tempi più di quanto sia giusto; se ci aiuteranno ad acquistar consapevolezza giorno per giorno di questa vita multiforme, varia, molteplice: chi infatti è giunto a una tale coscienza, conseguita una vera libertà interiore, non s'affranca solo dagli idoli delle tendenze del momento, ma anche da tutti coloro che, volendo asservire e dominare gli altri, sbandierano falsamente belle e attraenti parole.
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