martedì 16 maggio 2017
“Perché sempre desideri quel che non hai, disprezzi le cose presenti e la vita, ingrata e imperfetta, ti sfugge”.
Lucr. 3, 957-958.

Ieri, non soltanto in Italia ma anche in altri Paesi, molte piazze cittadine sono state affollate da cortei che si ripetono ogni anno perché non si cancelli dagli animi degli uomini d'oggi il ricordo delle battaglie che, in passato, molti operai han combattuto contro i propri padroni per migliorare le condizioni lavorative. Certamente è utile, quando si tratta di lotte passate, rivolgervi di tanto in tanto l'attenzione e gloriarsi, ben a ragione, del loro esito felice. Ritengo però che in tale rievocazione ci sia questo pericolo: di dimenticare, offuscati dall'esultanza che ricorre annualmente, che nello stesso campo ci sono ancora molte cose da conseguire, molte anche da rinnovare. Infatti, se in passato alcuni hanno osato muoversi verso tali mete, pur se molti erano contrari, lo fecero persuasi dalla convinzione che non c'è niente nel guadagno o nel lavoro dipendente che possa esser così prezioso se si calpesta la dignità umana. Certamente è questa la causa per cui cercarono d'ottenere con tutti gli sforzi possibili la diminuzione delle ore che gli operai erano costretti a dedicare al lavoro: perché fosse chiaro che non bisognava agire allo stesso modo con gli uomini e con le bestie da soma. Suvvia, sia mitigata l'eccessiva allegria di coloro che si congratulano a vicenda, tacciano le voci di quelli che cantano infondati peani, si sciolga la folla di coloro che gioiscono ed esultano per le vittorie di altri. Qualcuno forse dirà sinceramente d'essere del tutto libero dal giogo della servitù? Oppure affermeremo, senza vergogna, che finalmente la dignità umana è per noi più importante della brama di guadagno? Se si vuole la mia opinione, non condivido assolutamente; anzi, non credo che ci siano mai stati legami più opprimenti di quelli che noi portiamo con tacito consenso: lavoriamo per comprare, a guadagno ottenuto, le cose che ci vengono offerte come se fossero un premio di viaggio. Compriamo per diventare proprio come altri ci convincono di dover essere, ripetendolo e inculcandolo all'infinito. Non appena siamo diventati così, già si pone davanti a noi un'altra meta verso cui tendere e, per nulla soddisfatti, bramiamo nuovi guadagni. Così, mentre non siamo mai contenti, soddisfiamo l'avidità degli altri e trascorriamo non una parte del giorno, ma tutta la vita servendo i padroni. Sì: la nostra vita è come un lungo commercio; essa finisce non appena smette di essere acquistabile.
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