martedì 30 maggio 2017
“Se ciascun membro avesse una tale sensibilità, da pensare di poter star bene, coll'aver tratto a sé la salute del membro più vicino, sarebbe necessariamente indebolito e perirebbe l'intero corpo” Cic., de off., III, 22

Attualmente è assai dibattuta la questione dei profughi, che vien trattata dalle varie fazioni con posizioni estreme: da un lato ci son coloro che ritengono necessario respingere gli stranieri dai nostri confini; dall'altro quelli che sostengono si debbano completamente aprire le porte. Si erra però in entrambi i casi perché i primi agiscono mossi da timore e diffidenza oppure perché essi stessi sono turbati o vogliono turbare altri; i secondi invece, molto spesso, desiderano apparire piuttosto che essere benevoli e non vedono ciò che di buono potrebbero offrire alle persone che soffrono, bensì cosa potrebbero ottenere
dall'accoglienza degli stessi. Spesso infatti un animo nobile e benevolo, del qual non vi è nulla di più sacro per un uomo, viene coltivato avidamente solo per essere ostentato. Mi sembra però che questa questione sia da dividere in due. In primis come bisogna trattare coloro che ci chiedono aiuto. Poi, in base alle nostre possibilità, cosa si deve fare per eliminare del tutto le difficoltà da cui sono oppressi o, altrimenti, come fare per diminuirle con un aiuto continuo. Per quanto riguarda la prima parte della questione, non sia mai che io non creda che sia proprio della benevolenza umana soccorrere qualsiasi bisognoso: naturalmente se qualcuno chiamato per prestare aiuto
rifiuta, con che coraggio lui potrebbe a sua volta richiederlo? L'esperienza e la riflessione c'insegnano che nessun essere umano è al riparo dalla disgrazia. Dunque non ci si deve chiedere se sia buono o cattivo mentre è travolto dalla sfortuna: è disonorevole e disumano, infatti, non aver salvato un uomo buono, perché potrebbe essere malvagio. In secondo luogo bisogna considerare ciò: non è questione di benevolenza, ma di dovere umano sentire che le difficoltà degli altri riguardano anche noi. Come? Forse che, mentre un incendio divampa all'esterno, sarà lecito starsene al sicuro se chiudo la porta di casa? È troppo meschino oggigiorno credere che ciascuno debba tutelare il proprio orticello, e che non bisogna curarsi delle sorti altrui. Infatti se non ci abituiamo a chiamare giustizia solo quella che non tollera che vi sia ingiustizia da nessuna parte, o se non ci abituiamo a promuovere la sola pace che potrebbe abbracciare entro i suoi confini quanto più terre possibili, il male crescerà sempre più velocemente rispetto al rimedio. Dunque anziché rafforzare i nostri confini, indirizziamo gli sforzi in quella direzione, affinché siano gli altri a fortificare i propri stati. Infatti, se continuiamo, per tutelare la nostra tranquillità, o a trascurare o, peggio, a alimentare a fini di lucro tutti i mali che avvengono in altre regioni della terra, non c'è da meravigliarsi che essi, se sono più miti, chiedano, se disperati, rivendichino quella felicità dalla quale gelosamente escludiamo gli altri.
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