martedì 8 novembre 2016
«Col tempo crebbe il desiderio di possedere, che ora è infinito» (Ov., Fast. I, 195)
Mentre la notte scorsa, già da tempo coricato nel letto, non riuscivo ad addormentarmi (credo poiché ripensavo alle mie risorse e ai miei debiti), una donna che risplendeva d'oro e di gemme e che portava una cornucopia improvvisamente mi si presentò alla vista e disse:«Il mio nome è Abbondanza, son degna di venerazione per le ricchezze e per gli averi». Io allora, ribollendo di bile, dissi: «Ecco: sei tu che inciti all'avidità, che sproni all'ingiustizia, sei compagna di ogni scelleratezza! Tutte le genti ora, per opera tua, o ardono di desiderio di guadagno, o sono oppresse dalle fatiche e dalla guerra: non c'è proprio niente che, denaro a parte, sia ritenuto degno di considerazione. Perciò, non sarò forse meritevole verso i mortali se, dopo averti legata, ti prenderò a pugni?». Ella allora, sorridendo, rispose: «Ma davvero, o buon giudice? Assicurati di non imputare a me quelle nefandezze che crescono nei vostri cuori! Io sicuramente vi sono d'aiuto, per farvi vivere in maniera più tollerabile; né posso né voglio negarlo. Tuttavia non vi costringo a non smettere di cercar d'afferrarmi, prima di nuotare nel lusso d'ogni genere. Ci sono infatti coloro che a stento posson cessare d'arricchirsi neppure, accidenti!, se risorgessero più volte. Inoltre non vi proibisco per nulla d'utilizzarmi con saggezza. Ma da quando avete cominciato a vessarmi con la ghiottoneria, con la brama di possedere e con gli altri piaceri, facilmente da allora scendete ad ogni nefandezza, pur di sedare le vostre scatenate passioni. Tu dici che molti sono oppressi da me con ingiustizia: son forse io a ordinarvi d'impiegare tutto il denaro che avete nel far guerre piuttosto che per aiutare i poveri? Certamente lo fate non per causa mia, ma per la vostra pazzia». Allora io: «Ma non dovrò allora credere a quelli che chiamarono aurea l'età che fu esente da ogni tipo di profitto?». Ed ella: «Queste son certo finzioni poetiche, ma io, sai, preferisco rimaner desta. Realmente auree son le imprese che sono state compiute da coloro che diressero altrove la mia ricchezza: non bisogna forse ritenere Mecenate quasi un secondo padre dell'Eneide, un'opera di maggior durata e di gran lunga più sublime di quelle in cui voi consumate tutte le vostre risorse? O forse c'è da pentirsi della città di Firenze? Lorenzo de' Medici la decorò con lo splendore delle arti e della cultura al punto che quel popolo trae ancora oggi il suo reddito in gran parte dalle sue opere immortali. Valutate bene, dunque, non se io debba esser perseguita, ma in che modo debba essere usata». Poi ella andò via, e io mi svegliai.
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