mercoledì 11 marzo 2009
Daniele Piccini ha ricevuto, il 24 novembre scorso, il premio delle Pontificie accademie istituito da Giovanni Paolo II «per suscitare nuovi talenti in vari campi del sapere e incoraggiare l'impegno di giovani studiosi, artisti e istituzioni che dedicano le loro attività alla promozione dell'umanesimo cristiano». Nel messaggio che, per l'occasione, ha indirizzato a Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della Cultura, Benedetto XVI si è detto «veramente lieto che venga assegnato il premio a Daniele Piccini, distintosi per il suo impegno sia nello studio critico della poesia e della letteratura " particolarmente di quella italiana delle origini e del Rinascimento " sia per la sua militanza attiva in campo poetico, espressa in alcune significative raccolte».
Non si pensi che il prestigioso riconoscimento sia andato a un autore in qualche modo "confessionale": nell'"umanesimo cristiano" di Piccini (Città di Castello, 1972) il sostantivo fa aggio sull'aggettivo, come dev'essere per i cristiani che hanno a che fare con l'umanesimo. Ne fa fede la nuova raccolta di saggi, in parte inediti, di Daniele Piccini, Letteratura come desiderio (Moretti & Vitali, pagine 328, euro 18,00).
Il desiderio del titolo non è desiderio di letteratura: «Desiderio indica non certo soltanto il desiderio in senso amoroso " sebbene il discorso muova e passi da lì ", ma piuttosto una tensione e una mobilità che non può riposare su dati acquisiti e che tenta vie estreme, insieme ipotetiche e saldamente costruttive, architettoniche». Semplificando: desiderio come sete di infinito, che è appunto la cifra dell'umanesimo, tanto più se cristiano. Infatti gli interventi critici di Piccini nel nuovo libro si iscrivono e si giustificano nella linea Petrarca-Leopardi che giunge fino ai contemporanei. Fondamentali, per esempio, sono le acquisizioni leopardiane che Piccini legge in Cesare Pavese, finalmente valorizzato per il grande poeta che è, contro l'abitudine di volerlo soprattutto romanziere.
Gli autori necessari ci sono tutti: da Pascoli a Campana, a Bertolucci, Caproni, Pasolini, con l'amatissimo (da Piccini) Mario Luzi e, naturalmente, Piero Bigongiari, Vittorio Sereni, Luciano Erba.
Particolarmente importante l'attenzione riservata ad Antonio Porta, co-fondatore e, insieme, eccentrico protagonista della Neo-avanguardia. A riprova dell'acume critico di Piccini, ecco la centralità assegnata al Dialogo con Herz, «scheggia avanzatissima dentro il lavoro di Porta, un testo di alta consapevolezza formale e artigianale, un'esperienza conoscitiva instabile e avventurosa di spessore quasi medianico».
A parte la presenza di un paio di poeti vernacoli che confermano la mia allergia per il genere, perfetto è il riconoscimento della poesia dell'ultimo Caproni come «teologica, nel senso etimologico di una poesia che ha il suo centro nel discorso " che diventa narrazione e vicenda " su Dio o, volendo accogliere un ironico ma tagliente suggerimento dello stesso poeta, una poesia "patoteologica", nel senso di una scrittura che accoglie nel proprio corpo, come un inestirpabile e irrinunciabile punctum dolens, la questione di Dio».
E, del resto, proprio questo, anche se pudicamente sotterraneo, è anche l'assillo del Piccini poeta di Terra dei voti (2003) e di Altra stagione (2006), nonché del Piccini studioso dei rimatori del Due-Trecento italiano, e antologizzatore di Iacopone da Todi. Il solido substrato di frequentazione dei classici, insieme all'afflato lirico del poeta in proprio, rendono questi saggi non solo filologicamente utili, ma anche letterariamente luminosi e godibili.
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