martedì 24 marzo 2015
Nelle ore in cui in tribunale va a chiudersi l'annosa vicenda di Calciopoli, fra Juventus e Inter - nel 2006 avversarie sui campi di giustizia - ci sono 30 punti di distacco sul campo di gioco. Non è solo un'annotazione statistica ma la storia più recente dei due club più prestigiosi per i quali Gianni Brera s'inventò la definizione di Derby d'Italia. Ma cosa fa più notizia? Il trionfo continuo dei bianconeri o la grave crisi dei nerazzurri? La Juve, dal giorno in cui fu affondata ha lavorato per tornare e riveder le stelle e ne ha conquistata addirittura una - la terza, trenta scudetti... e passa - aprendo nel contempo la pratica per ripetere l'exploit anteguerra dei cinque scudetti consecutivi. Domenica, battendo il Genoa nella “solitaria” dedicatale da Sky quasi in forma di omaggio, ha praticamente vinto il quarto, nonostante fosse avvenuto il passaggio di consegne da Mister Intensità Antonio Conte al Maestro Pratico Max Allegri, così diversi e così simili, in realtà, se si scorre il loro illuminante curriculum, magari per spiegarsi le difficoltà del Signor Senzastoria Pippo Inzaghi. Messe a confronto oggi, Juve e Inter, nel derby societario, sembrano appartenere a due mondi diversi. La Juve non trema per l'addio di Conte e ingaggia disinvolta un tecnico... nemico (Allegri vuol dire Milan, ricorda il gol-non-gol di Muntari, l'addio di Pirlo al rossonero e altri bisticci) mentre l'Inter si pente di aver osato Stramaccioni, si ripente (a caro prezzo) di aver ingaggiato Mazzarri e toppa definitivamente richiamando il Mancini ripudiato per Mourinho e oggi è costretta ad ammettere che il “piangina” maremmano andava meglio e non sprecava euromilioni al mercato di riparazione per vecchie glorie da museo più che da campo. A proposito, chissà perché alla Juve - dal “bidone” Martinez in poi - gli affari van tutti bene: Tevez a prezzo di saldi, Pogba regalato, Llorente e Morata più che risparmiosi, non c'è errore tecnico ma soprattutto sul piano umano, perché son tutti amici e tutti uniti. Il calcio è anche questo: amicizia e solidarietà. A vedere l'Inter, invece, sorgono dubbi d'ogni genere e Mancini il Gran Simpatico sembra non poter farci nulla, neanche con il mite Kovacic, campione mai nato. Ecco, dunque, le pagine più interessanti di una domenica irregolare che registra la resurrezione della Roma di Garcia e di De Rossi, interpreti di storie parallele, insieme all'azione di forza di una Lazio sempre più bella per le imprese di Felipe Anderson: se ci sarà derby per la Champions, il nostro criticatissimo torneo mostrerà la sua antica vitalità e la dignità appena riconquistate in Europa, alla faccia di un'Inghilterra strombazzata ma bocciata. Conquista posizioni e ammirazione la Sampdoria, il cui tecnico Mihajlovic, fantasioso quanto esperto, rivoluzionario e conservatore insieme, sembra desideratissimo da tutti i club sofferenti, insieme al mitico Sarri, a Pioli e a Montella; Vincenzino - che ha ammesso di voler vincere per la Viola e per sé, poco vincenti - sgomita a sua volta per un posto in Champions. Avremo dunque una primavera di bellezza, anche se non mancheranno i lamenti e le singolari ironie di Benitez, il quale dopo il passaggio al San Paolo del vecchio saggio Reja ha definitivamente bocciato il calcio “all'italiana” riservandosi - come da curriculum innegabile - l'agognato passaggio in Champions vincendo l'Europa League. Sinceri auguri.
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