venerdì 6 dicembre 2013
Mi colpì, quando ero molto giovane, il titolo di un libro che non ho mai letto perché non avevo i soldi per comprarlo, Felici benché giovani, di tale George Lawton, edizioni Bompiani… In quel titolo mi ritrovavo, così come nell'incipit di Aden Arabia di Paul Nizan, citato un tempo a torto e a traverso: «Avevo vent'anni. Non permetterò mai a nessuno di dire che è la più bella età della vita». Preoccupato di trovare un equilibrio tra quel che pensavo di essere e quel che avrei voluto essere, tra me e il mondo all'intorno, eppure inevitabilmente e vitalmente coinvolto e dunque “felice”. Mi colpì, molti anni dopo, un'affermazione di Alessandro Cavalli, analista dei comportamenti giovanili: la gioventù è la sola età di cui, mentre la si vive, si pensa che non debba mai aver fine. Mi colpisce ora l'incontro, abbastanza sistematico a causa delle mie attività, con dei giovani proprio di oggi, protagonisti centrali della più radicale e decisiva delle mutazioni antropologiche, al cui confronto quella degli anni del boom (da poveri a benestanti, da contadini a operai o impiegati, da analfabeti a laureati) può sembrarci come fisiologica, naturale. Essa riguarda tutti, e trova scarsa resistenza negli adulti più deboli o frastornati e ovviamente nei più giovani, lusingati e blanditi. Carlo Formenti chiama Utopie letali (è un libro Jaca Book) il liberismo e le tecnologie mediatiche che presiedono alla grande svolta verso non si sa ancora bene che cosa. In questa mutazione le nuove tecnologie appaiono anche – lo si capisce ogni giorno meglio – come strumenti di guida e di controllo, tutt'altro che neutrali, che rendono sempre più difficile essere giovani secondo processi autonomi e “naturali” di crescita, di confronto. Non invidio chi cresce oggi, in un mondo che preme perché lo si accetti e vi ci si conformi, tra consumo e consenso. Ma mi preme, e lo considero un dovere, cercare di capire, di distinguere. In questo non mi aiutano certamente i libri degli adulti, assai prevenuti (vedi per esempio Gli sdraiati di Michele Serra, Feltrinelli, di fatto un pamphlet contro i figli che non seguono i modelli paterni e che dimentica che si cresce soltanto mettendo i padri in discussione) mentre mi aiutano le produzioni direttamente giovanili, per esempio i fumetti di Zerocalcare (Bao Publishing) con il loro affannato bisogno di difesa e di attacco, certo discutibile ma spavaldamente sincero, su cui bisognerà ritornare.
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