martedì 1 marzo 2016
Domenica sul “Fatto” monsignor Mogavero sul Vangelo del giorno (Luca 13, 1-9) pone «la domanda mai risolta del perché del dolore e della morte che ha messo in difficoltà tanti e anche le intelligenze più acute», scrivendo che in quel brano «Gesù non scioglie del tutto il nodo problematico». Il dolore, e in particolare quello innocente resta scandalo e richiesta di luce che sconfigga le tenebre di dubbio e disperazione. Per caso ieri stessa problematica anche su “Repubblica” (p. 35) ove Vito Mancuso si chiede «Qual è il senso della vita ben oltre la malattia». Sgombra il terreno dall'inizio, lui, scrivendo che già «in una tavoletta cuneiforme» dell'antica Babilonia «un padre» riceve tra le braccia il corpo del figlio che chiama con nome interrogativo, tradotto così: «Qual è il mio peccato?», e dopo aver esaminato tante risposte del passato, tutte impotenti per lui, conclude che «l'unica prospettiva in grado di offrire qualche raggio di luce è la visione evolutiva del mondo». Né castigo, né disperazione, ma in «un delicato equilibrio tra sistemi fisici, chimici, biologici» la prospettiva di prendersi cura del dolore e della stessa morte, nella coscienza di essere «al cospetto del bene, l'evento più nobile cui la vita possa partecipare». Chiarezza? Leggi e rileggi la pagina solenne, ma forse vana, e per caso ripensi ad una lettura recente sul “Foglio” (25/2, p. 1): «La ricchezza infinita di avere un figlio down in un mondo dominato dall'illusione che la vita debba essere senza intoppi». Conclusione sbalorditiva: «Anche il mio Michele può essere felice perché è voluto, e solo Dio sa quanto lo abbiamo desiderato». Luce di umanità e di fede! Per tanti uomini e donne a sciogliere il nodo non saranno mai parole, ma vita, passione e morte in prospettiva di resurrezione offerte in quell'evento che ha nome Gesù. Un privilegio?
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