giovedì 23 marzo 2017
Gli eventi tragici portano con sé conseguenze travolgenti per tutti coloro che ne vengono coinvolti. Improvvisamente rivelano una serie di questioni che sono sempre lì, latenti, ma che l'abitudine dei giorni ci fa trascurare, fino alla dimenticanza. La memoria vera è processo vivo, sempre scioccante, ma ci attiva solo quando si materializza di fronte a noi come fatto, in tutta la sua crudezza. I recenti terremoti che hanno colpito estensivamente il centro Italia, tra i tanti interrogativi sollevano quello degli edifici sacri distrutti, alcuni di grande valore storico. Dove vi siano parti danneggiate ma restaurabili senza stravolgere la autenticità dell'opera questa è certamente una opzione.
Nelle distruzioni consistenti invece le scelte che rischiano le pastoie dell'indecisione perenne, sono altre: ricostruire come era, ricostruire ex novo, ricostruire con la parte rimasta integra come traccia storica aggiungendo una parte nuova, ricostruire in luoghi diversi, in alcuni casi non ricostruire affatto. La situazione è molto diversificata e non permette un approccio unico. Non unico, ma unitario sì.
Non si tratta di ricostruire strutture civili, la cui priorità per la sopravvivenza fisica è scontata. Si tratta di altro. Si tratta di identità, storia, cultura, e ancora prima di fede. Perché dovrebbe essere ovvio che gli spazi sacri si edificano per la fede. Questo mette in gioco la memoria di ciò che era e ciò che è oggi. Non ha alcun senso ricostruire copie. Non porteranno indietro la storia. Quello che è perduto è perduto. Per sempre. Ciò che non è perduto è il significato.
Oggi più che mai la autenticità e necessaria. Fare copie è di moda, perché grazie alle tecnologie possono essere anche abbastanza credibili. Ma sono false. Gli spazi lavorano per osmosi. Un luogo falso nella sua essenza percettiva (il nostro strumento corporeo di conoscenza primario) trasmette inequivocabilmente la falsità del suo significato. L'alternativa richiede vitalità, richiede invenzione, richiede una genialità ispirata da quel significato. Richiede fede e qualità. Senza una delle due, sono convinto che la soluzione migliore è non ricostruire i luoghi sacri.
Riscontro sempre più spesso questa passione per la copia che va di pari passo con la fatale confusione della fede con l'amministrazione. La passione per la copia tradisce anche un senso di inferiorità rispetto al passato, testimone senza repliche di quanto misere sono le nostre risorse spirituali. Se c'è una novità nella visione autenticamente cristiana, è che il feticcio viene definitivamente superato. In favore di una vitalità dinamica, che si rigenera in forme nuove, senza l'attaccamento morboso alle modalità anche meravigliose, ma incidentali, che la storia ci propone.
Guai cedere a un sentimentalismo di superficie, per cui rivedere strutture che assomigliano al passato consola la nostra necessità di abitudine e diventa comunicato facile da spendere: l'agognato ripristino delle bellezze storiche. La bellezza ripristinata e non rigenerata ha la sostanza di una mummia. Truccata, conservata e irrimediabilmente esanime. Sono convinto che anche nel caso dei luoghi sacri, i morti debbano seppellire i morti. Il posticcio, l'arredo, sono esercizio ideologico di una memoria imbalsamata e non concretezza di un messaggio vivo. E quelle chiese, avranno il destino di un vuoto prima ancora che di assemblea... di senso. Se non si è capaci di rimettere in gioco tutta la sfida di creare simboli che diano dimensione all'attualità del mistero, si dichiara la sconfitta rispetto alle culture che nel bene o nel male quella sfida raccolgono.
La realtà nei vari casi è sconcertante. La copia viene in soccorso del letargo di una vivacità che è la vera grande assente. Gli edifici sacri, i simboli, non sono necessari alla sopravvivenza. Se non servono a incontrare l'autenticità di una dimensione altra dell'esistenza, sono inutili.
Ricostruire è un'occasione per mostrare se si è vivi o si è morti. Ricostruire è inutile, dispersivo di risorse se non è una ricostruzione che parte dalla fonte viva del messaggio. Piuttosto che ricostruire finzioni di alto livello, chiese auditorium più o meno alla moda, destinate a un vuoto desolante perché hanno la vitalità di un obitorio, meglio la contemplazione delle macerie, drammatiche e vere, che prima di tutto sono quelle dei propri contenuti.
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