sabato 16 giugno 2018
Chissà se qualcuno ha mai raccontato a Lionel Messi la storia del "portiere-filosofo", l'argentino Claudio Tamburrini? Difendeva i pali della porta dell'Almagro, fino al giorno in cui Tamburrini non finì nelle mani dei carnefici del dittatore Videla. Nel 1977, aveva 22 anni ed era un raro esempio di calciatore professionista, iscritto alla facoltà di Filosofia. Uno studente, lo aveva denunciato alle autorità della Giunta. Andarono a prenderlo e incappucciato lo portarono alla Mansión Seré: uno dei tanti centri di tortura in cui venne picchiato e "affogato" in una vasca mentre i suoi aguzzini urlavano ai prigionieri: «Gridate forte, perché Dio riesca a sentirvi!». Dio, nei giorni in cui l'Argentina conquistava il suo primo Mundial, lo aiutò ad evadere da quell'anticamera della morte e non diventare uno dei 30mila desaparecidos mai più tornati dalle loro madri che ancora li piangono in Plaza de Mayo. Tamburrini quelle mamme le ha riviste anni dopo la sua seconda fuga: dal 1985 vive in Svezia dove insegna filosofia all'Università di Stoccolma. La sua storia è diventata un film "Pase libre: la fuga de la Mansión Seré". In quella prigione è voluto tornarci, perché oggi è il più grande centro della memoria storica di tutta l'America Latina. Ha scritto Quique Peinado: «Ciò che fanno in quel luogo, insieme all'immagine di Tamburrini che blocca un pallone in un piccolo campo di Stoccolma, è la migliore metafora del suo trionfo».
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