giovedì 15 giugno 2017
Mi imbatto casualmente in un monumentale ragazzone ucraino. Ha 25 anni, è già divorziato (sob…) e nel suo paese ha studiato per diventare istruttore sportivo in una facoltà equivalente al nostro Isef.
Si dà da fare per convincermi di quanto è bravo, si entusiasma raccontandomi nel dettaglio le sue specialità. Il suo piccolo e raggiungibilissimo sogno sarebbe lavorare in una palestra: alla vita non chiederebbe neanche troppo. Fa il muratore, invece. Gira e rigira svogliatamente la malta, schizzi di pittura bianca intorno agli occhi azzurrissimi e tristi. Esiste anche il talento del muratore, intendiamoci. Ma non è il suo. Nasciamo tutte e tutti con qualche dote da portare al mondo. In questo c'è giustizia, nessuno viene alla luce senza: ogni bambino, come si dice, il suo panino.
Le ingiustizie cominciano dopo: quando per sfortuna, o perché sei povero, perché sfuggi a una guerra, o perché non hai incontrato nessuno capace di educarti al tuo meglio, sei costretto a rinunciare. Ed è una perdita per tutti, mica solo per te. Uno spreco insopportabile, un peccato mortale. Il ragazzo ucraino non può portarci la sua dote perché è, come dicono i politici, «clandestino». Me lo dice anche lui con un moto di vergogna che mi attraversa simultaneamente, come una scarica elettrica, e mi fa trasalire. «Non arrenderti» gli dico. «Non mollare, ragazzo». Aboliamo la Bossi-Fini. Cancelliamo quella brutta legge, per favore.
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