mercoledì 30 luglio 2008
Un fascicoletto distribuito in alcuni licei ticinesi, milanesi e novaresi, con le principali recensioni a Nell'isola distante, di Giuseppe Curonici, è un invito alla rilettura di questo «romanzo» pubblicato da Interlinea nel 2004 (pp. 192, euro 15).
Curonici, a lungo direttore della Biblioteca cantonale di Lugano, era salito agli onori delle cronache nel 2002, vincendo, quasi settantenne, il premio Bagutta opera prima con L'interruzione del Parsifal dopo il primo atto, tuttora nel catalogo Interlinea.
Nell'isola distante non è un «romanzo» (virgolette d'obbligo) per liceali: è un conte philosophique che risente delle suggestioni della Neoavanguardia, come l'autore stesso ha ammesso in un'intervista. La trama è frastagliata, molte le digressioni, raffinati i rimandi, molteplici le allusioni. La scrittura è asciutta, attenta ai particolari, ironica, denotativa.
Nell'accogliente dimora sul mare della signora Giaele, cordiale padrona di casa con disinvolto passato, si radunano cinque ospiti: Alberico, veterinario che è diventato proprietario-manager di un'industria chimica; sua moglie Consolata, non sempre tempestiva nell'afferrare i concetti, grassoccia e tintinnante di bigiotteria; una signora molto giovane che di giorno veste d'azzurro e di sera di blu; il pittore Walter al quale Giaele vuol far guadagnare qualche soldo facendo il ritratto ad Alberico; un giovane ingegnere cattolico con sottile mentalità analitica.
Alberico, che beve un po' troppo, racconta di aver scoperto che il suo amministratore, di cui ciecamente si fidava, in realtà lo derubava. Gli ha imposto, senza clamore, le dimissioni, e quello, dopo qualche giorno, si è sparato un colpo in testa. Racconta anche «la miglior barzelletta triste del mondo», che è la chiave del libro: un signore aveva un fedelissimo cane, Medoro, da cui viene perfino salvato durante un naufragio. Padrone e cane approdano su un'isoletta; dopo giorni di fame, il padrone uccide Medoro, lo cuoce e lo mangia. Satollo, vedendo le ossa spolpate dell'animale, mormora commosso: «Che festa, per Medoro, se fosse qui!».
Durante le discussioni sull'interpretazione dell'apologo si viene a sapere che Alberico è un criminale che ha compiuto nefandezze in Grecia durante la guerra, e ha avuto una relazione con Bea Bathory, un tempo bellissima e oggi orrendamente incartapecorita. Medoro è forse l'amministratore suicida di Alberico? E perché il ritratto?
Il pittore Walter, che per ritrarlo vuole sviscerarne la personalità, intuisce che egli è l'identico criminale non pentito che vuole semplicemente restaurare la propria immagine, rendendo complice il pittore. Walter, dunque, non farà il ritratto che il committente si attende, bensì lo farà «per la pittura», rivendicando in tal modo la libertà dell'artista come libertà di ogni uomo responsabile.
Il «romanzo» è ben più ricco di questo sunto: contiene anche il mito di Attesone, divorato dai propri cani, e il gioco dell'ocas, tavola anagrammatica di caos, cosa, caso. Per non parlare della miriade di sentieri interrotti in cui si dirama la conversazione. Ma forse anche da questi cenni si intuisce quanto sia performativo il racconto di Curonici, cioè quanto sia coinvolgente e trasformante per il lettore. Curonici, insomma, autentica la frase di Lacan citata nell'esauriente studio che Alberto Roncaccia ha dedicato all'Isola distante: «Il linguaggio, prima di significare qualche cosa, significa per qualcuno».
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