martedì 29 maggio 2018
«Tutti noi sul monte con Abramo»: (“Corsera”, 27/5, tutta p. 21). Claudio Magris rilegge Genesi 22, «storia del padre cui Dio chiede di uccidere il figlio per poi fermarne la mano. È il mancato sacrificio di Isacco». Leggo, con un'osservazione essenziale. Abramo pensava al suo Dio che chiede sacrifici come tutte le divinità del suo tempo. Ecco Agamennone che deve offrire la prediletta Ifigenia, e le riflessioni di René Girard sul “capro espiatorio”. No, questo Dio non chiede sacrificio, e ferma la mano armata. Celebre testo di Agostino: «Ciò che Dio non ha chiesto ad Abramo lo ha fatto Egli stesso offrendo sul monte e sul legno il Figlio suo prediletto». E alla sorgente c'è Paolo (Rm 8, 31): «Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha offerto per tutti noi».
Abramo, come in tutte le religioni primitive, “crede” di dover sacrificare quel figlio, pure unico e sospirato, ma “impara” – rivelazione assoluta – che questo suo “nuovo” Dio non chiede, ma offre. È la “novità” della Bibbia, “Primo” e “Nuovo Testamento”. Ogni immagine di Dio avido di sacrifici umani, anche se incollata per secoli nelle pratiche di tanta parte dei cristiani, cattolici compresi, è immagine falsa, che diciamo “religiosa” nel senso di “religione” come sforzo umano di impadronirsi delle verità sconosciute con il “mito”, e di controllare le realtà ingovernabili con il “rito”. Perciò André Dubarle ha scritto: «In religione la scienza fa il deserto!» No, questo Dio di Abramo, poi di Mosè e dei profeti, nella rivelazione cristiana ci offre il suo Figlio Unico, l'ebreo Gesù di Nazareth fratello e salvatore rivelandoci che è amore, e che – intuizione precisa di Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa e maestra dei teologi – «la proprietà dell'Amore è nell'abbassarsi»: Dio con noi, Emanuele, nato per noi, morto e risorto per noi!
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