martedì 26 agosto 2014
Passo Pordoi ( Belluno), agosto – La funivia sale veloce al Sass Pordoi, nel gruppo del Sella. I passeggeri ridono e parlano a voce molto alta, quasi a esorcizzare la voragine di roccia che si spalanca sotto alla cabina: dove solo i corvi volano, neri e gracchianti, come sentinelle di un altro mondo. E quassù già l'aria è diversa, fredda e secca come uno schiaffo sulle guance; e l'orizzonte di colpo più severo, nel profilo austero delle Dolomiti in una giornata senza sole. Qualcosa ti mette interiormente sull'attenti. Cos'è? Come la percezione di trovarti di fronte a un invisibile signore di queste montagne. E ti lasci alle spalle la stazione della funivia e ti addentri nell'altopiano del Boè. Gli escursionisti ora si fanno rari. Non è una terra di uomini questa, ti avverte una parte di te. Sembra, piuttosto, una luna, pallida e deserta com'è, e quegli avvallamenti tondeggianti ne paiono i crateri. Le pietre, sotto al cielo grigio, candide. Un silenzio sovrano si allarga sul pianoro, così che istintivamente anche noi taciamo.Il sentiero traversa nevai che il sole di questa estate fredda non ha saputo sciogliere. Una folata di vento freddo ti brucia il viso, prima di insinuarsi nella forcella da cui si scende al Passo, in una eco di vuoto. (Vertigine, a immaginare come dev'essere ripido sul nulla quel sentiero).Il nostro invece è facile, e quasi piano; e tuttavia rimane quel senso di avere traversato un segreto confine. Quando ero bambina immaginavo che su queste cime abitassero divinità invisibili, che capricciosamente rapivano chi si addentrava troppo audacemente nel loro regno. Anche ora ancora non riesco a liberarmi da questa idea di trovarmi nella signoria di un Altro, muto e presente, immenso come l'orizzonte. La sensazione di non essere mai stata più vicina al cielo. E mi confortano, su questa luna straniera, i segni rossi che sulle rocce indicano il sentiero degli uomini; e mi conforta l'apparire da lontano del tetto del rifugio Boè, da cui sale un filo di fumo. Dentro, lo so, tra i tavoli di legno troveremo tepore e bevande calde, e odori buoni e densi di cibo. Grappa, anche, a rinfrancare di quell'ombra di solitudine e quasi di indicibile paura. Poi si farà l'ora di tornare, e ripercorreremo la strada fra queste dune di roccia, senza incontrare quasi nessuno. Sarà un sollievo allora sentire le voci della gente che si accalca sulla cabina: ma in quel momento avvertiremo già il germe di una nostalgia. Nostalgia di quell'Altro splendente che, mi pare una evidenza, abita dall'eternità fra queste cime.
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