martedì 29 giugno 2021
Tradendo, quasi senza accorgersene, gli ideali e i principi fondamentali sui quali è nato e tuttora poggia la sua autorevolezza, il Parlamento europeo ha dunque proclamato con un atto formale l'aborto come "diritto umano" basilare. Lo ha cioè equiparato alle prerogative più essenziali che caratterizzano la creatura umana e che ne tutelano la dignità in ogni tempo e in ogni consesso sociale. Tutto questo è avvenuto a Strasburgo nella seduta plenaria di giovedì scorso, mediante una sterminata risoluzione di oltre 15mila parole, suddivisa in 65 premesse, 34 "considerando", 77 fra inviti, raccomandazioni, esortazioni, richieste, sottolineature, deplorazioni, "memorandum" e altri verbi dichiarativi.
È stato insomma confezionato un documento dalle dimensioni studiatamente enciclopediche, quasi a voler parare in anticipo rilievi di superficialità e di inadeguatezza. Si sono messi assieme, sotto il titolo complessivo riguardante la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti sul piano sanitario, gli argomenti più disparati. Ma gli obiettivi essenziali ai quale si mirava, come espressamente ammesso dall'autore del testo, erano la promozione senza condizioni del diritto all'aborto e il contemporaneo attacco all'obiezione di coscienza.
La non troppo ampia maggioranza con la quale la relazione del croato Matic è stata approvata – 378 favorevoli, 255 contrari e 42 astenuti – non attenua in nulla la gravità del passo compiuto. Lo stesso vale per il suo valore non vincolante per gli Stati membri. L'Europarlamento ha comunque dichiarato – ad alta voce – che la soppressione del nascituro, essere umano in formazione, acquista ai suoi occhi il medesimo rango del diritto alla vita, all'integrità della persona, alla sue libertà primarie. Tutti principi fissati negli articoli iniziali della Carta di Nizza del dicembre 2000, che l'Unione europea ha recepito e confermato nella sua Carta dei diritti fondamentali inserita nel Trattato di Lisbona, proprio perché «consapevole del suo ruolo spirituale e morale», come si legge nel preambolo.
Nella stessa Carta si afferma, all'articolo 10 comma 1, il diritto per ogni individuo «alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione», mentre il comma 2 stabilisce che «il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio». A scorrere il testo della risoluzione, si coglie bene l'ostilità preconcetta nei confronti di questo limite "esterno" all'aborto che in oltre 20 Paesi, e in varie modalità, ancora sussiste. Più volte si parla in tono poco meno che sprezzante della "cosiddetta" obiezione di coscienza e se ne denuncia un frequente (ma quanto? ma dove?) uso strumentale. Non sarà un caso se, nella miriade di citazioni di testi precedenti, il richiamo alla Carta dei diritti fondamentali figuri appena una volta e di sfuggita. E invece si evocano, a sostegno delle tesi sostenute contro gli obiettori, documenti più che opinabili, come uno studio su aborto e obiezione di coscienza condotto nel 2018 in sei Paesi (fra i quali l'Italia), attribuito allo stesso Parlamento, ma in realtà condotto da un panel di ricercatori che espressamente dichiarano le tesi sostenute come solo proprie e non attribuibili all'istituzione. Con queste prassi e questi metodi di chiara ispirazione ideologica, che intaccano profondamente i suoi più nobili principi ispiratori e «il suo ruolo spirituale e morale», l'Europa non potrà andare lontano.
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