martedì 21 aprile 2020

Quel mi incute timore è la cosiddetta Fase 2. Non solo dal punto di vista economico e politico, ma soprattutto sotto quell’aspetto disatteso che è la dimensione psicologica. Un confinamento, anche quando non si è malati, ne porta con sé l’esperienza indiretta. Le nostre esistenze quotidiane sembrano quelle di persone malate, anche quando ci si mette in ghingheri al mattino e si lavora al tavolo indefessamente. Perché si sta a casa, di solito, quando si è malati. E se, per molti di noi, il motivo non è o non è stata la malattia, ma la volontà di preservare dal contagio tanti (compresi noi stessi), le condizioni reali sono diventate quelle di un grande periodo di quarantena come fossimo tutti infetti, creando così un grande ricovero mondiale. Il mondo è diventato un ospedale di campagna. Così è stato, così è.
Il fatto è che per uscire dalla quarantena, dal confinamento, ci vorrà un periodo di degenza. E non si esce dalla degenza senza postumi. Uno di questi sarà proprio il fatto di continuare, per molti di noi, ad avere timore del contatto. E sarà un bene, per un verso, perché permetterà di salvaguardare dall’assembramento facile e ingiustificato. Psicologicamente parlando, invece, ci addentriamo in un campo ben più delicato. Questa pandemia porta con sé, a suo modo, una rivoluzione nel contatto sociale. Per mesi, se non per anni, adotteremo nuovi comportamenti sociali, che intaccheranno la maniera interiore e psicologica di relazionarsi agli altri. Chi pensa che nulla sia cambiato, si sbaglia di grosso, perché psicologicamente, di fatto, ciascuno di noi può constatare di non sentirsi già più portato per i raduni di massa. Forse li desideriamo inconsciamente, ma nella realtà dei fatti, basta uscire e incrociare un essere umano per rendersi conto che potenzialmente ogni incontro è a rischio. È un atteggiamento inconsapevole, perché la psiche perviene prima della nostra razionalità a individuare i possibili pericoli. Nelle Fasi 2, 3 e successive non dovremmo dimenticarci di questo aspetto psicosociale, di una ripresa difficile anche dal punto di vista psicologico. Esiste una patologia psicologica, quella di aver paura soprattutto degli altri, del contatto con l’altro. È, se non ricordo male, una forma di depressione. Questa può avere effetti ben più devastanti sul corpo sociale dello stesso confinamento prolungato, che in fondo può ottenere un effetto rassicurante. Non si tratta soltanto della prospettiva di un deconfinamento senza facili sicurezze: ciò che va assolutamente tenuto in considerazione è questa ulteriore degenza, che può condurre a molteplici tipologie di fobia.
Questa diffidenza si impossesserà anche dei membri fedeli della Chiesa? Prima di rientrare in chiesa senza alcun timore passeranno ancora mesi, così come anche di andare a fare la spesa con indifferenza. Saprà il sentimento forte di fede che vince tutto e dona forza e sicurezza oltrepassare questo momento delicato?

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