mercoledì 27 gennaio 2010
Nel 1962 il trentacinquenne professor Joseph Ratzinger tenne una conferenza alla settimana della Salzburger Hochschule sul rapporto tra l'elemento nazionale e quello umano universale nella visione dei Padri della Chiesa, concretamente in Origene e in Agostino. Il testo, pubblicato dapprima in rivista, prese corpo in un libro che vide la luce nel 1970, tradotto in italiano dalla Morcelliana nel 1973, per la cura di Giulio Colombi, e ora lodevolmente riproposto con lo stesso titolo: L'unità delle nazioni. Una visione dei Padri della Chiesa (pagine 144, euro 12,00).
Come scrive nell'introduzione il direttore dell'"Osservatore romano", Gian Maria Vian, «c'è già tutto Ratzinger in questo piccolo libro, tanto prezioso quanto poco conosciuto». C'è, infatti, in quelle poche pagine il Ratzinger biblista che segue l'interpretazione canonica della Scrittura (cioè analizza i singoli passi all'interno dell'interno canone biblico); c'è il Ratzinger teologo che non perde mai di vista il significato ultimo degli eventi storici; c'è il Ratzinger appassionato dei Padri, che a sant'Agostino aveva dedicato la tesi dottorale; e c'è sempre il Ratzinger professore che unisce la chiarezza espositiva al rigore della metodologia, e documenta ogni affermazione con l'indicazione delle fonti puntigliosamente commentate in nota. L'oggetto dello studio, che apparentemente potrebbe sembrare di scavo erudito, conserva una spiccata attualità, trattandosi di "teologia politica".
Vediamo un po'. Al culmine della romanità, Augusto aveva fatto costruire l'Ara pacis, in cui era effigiata la Madre terra, simbolo dell'unità del genere umano, nella dimensione cosmica interpretata dall'impero. Il motto augusteo Pax in terris sarà riecheggiato, con ben altro significato, dagli angeli che annunzieranno ai pastori la nascita del Salvatore. Nella Bibbia, invece, l'unità del genere umano risulta spezzata con la costruzione della Torre di Babele, e l'attuale dispersione ha anche un significato punitivo. Contro lo gnosticismo che si opponeva a ogni forma di organizzazione statuale, vista come espressione di un mondo radicalmente cattivo, Origene non si discostò dall'interpretazione cristiana secondo cui il mondo, benché intaccato dal peccato, è comunque opera del Dio creatore. E pur considerando espressione demoniaca gli Stati nazionali, governati dagli arconti, di contro all'unità della Chiesa in prospettiva escatologica, Origene distingueva due leggi, quella della natura, di origine divina, e quella degli Stati che, in caso di conflitto doveva subordinarsi alla prima.
Quanto ad Agostino, egli considera la religione politica nient'altro fondata che sulla consuetudine, mentre la religione cristiana attiene alla verità che emancipa dalla potestà dei demoni. La teologia politica agostiniana è antitetica sia allo stoicismo che identificava Dio e mondo, sia al platonismo che sanciva l'esclusione di ogni contatto tra Dio e mondo. Per effetto dell'Incarnazioone, il Dio creatore è anche il Dio della storia, e Agostino può opporre alla confusione delle lingue a Babele il prodigio delle lingue a Pentecoste. La dottrina agostiniana delle due città «non mira né a una "ecclesializzazione" dello Stato, né a una "statalizzazione" della Chiesa, ma, in mezzo agli ordinamenti di questo mondo, che rimangono e devono restare ordinamenti mondani, aspira a rendere presente la nuova forza della fede nell'unità degli uomini nel corpo di Cristo, come elemento di trasformazione, la cui forma completa sarà creata da Dio stesso, una volta che la storia abbia raggiunto il suo fine». Agostino, dunque, giunge perfino ad auspicare un rinnovamento dell'Impero romano, restando tuttavia fedele al pensiero escatologico che relativizza ogni ordinamento mondano.
Anche da questa sussultoria sintesi si può intuire la profondità del pensiero del giovane Ratzinger, che avrà modo di svilupparsi sia nei documenti elaborati da prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, sia nel magistero di Benedetto XVI.
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