mercoledì 7 ottobre 2009
Il breve saggio di Barbara Spinelli Una parola ha detto Dio, due ne ho udite (Laterza, pagine 88, euro 8,00) ha un elegante formato lungo e stretto (cm 10x20) che lo fa assomigliare ai foglietti di istruzioni acclusi nelle scatole dei medicinali che sembrano fatti apposta per allarmare sugli effetti indesiderati più che per illustre i vantaggi del prodotto. Anche il carattere di stampa, squadrato e verticale, contribuisce a conferire al testo un'aura clinica, mentre il titolo in copertina, senza interlinea e piegato all'ingiù suggerirebbe al grafologo la diagnosi di depressione. Il sottotitolo è eloquente: Lo splendore delle verità, parafrasi critica della celebre enciclica. Spinelli se la prende con l'Uno, le sta antipatico, non lo sopporta. Ma di quale Uno si tratta? Dell'Uno metafisico, trascendentale dell'essere insieme al Vero al Bene e (per qualcuno, quorum ego) al Bello? Dell'Uno teologico, professato dai monoteismi? Dell'Uno ideologico, del pensiero unico che vuole imporsi senza contraddittorio? Dell'Uno delle multinazionali officianti il dio denaro? (il libro è dedicato "a Tommaso", che dovrebbe essere l'ex ministro Padoa-Schioppa, attuale compagno dell'autrice, citato nella nota 21). Il testo scivola continuamente dalla filosofia alla teologia, alla sociologia, all'antichistica. Si citano la Bibbia, Kant, Kierkegaard, Samuel Johnson, Bentham, Reagan, Lévi-Strauss, Popper, Schmitt, von Humboldt, Zagrebelsky, Origene, Deleuze, Sofocle, Hartmann, Montaigne, e di "indispensabile lettura" è perfino un libro di Marco Travaglio. Sembra però che Spinelli non abbia letto o non abbia capito Distinguere per unire. I gradi del sapere di Jacques Maritain, per cui il suo discorso, che salta di livello in livello (di palo in frasca) è assolutamente privo di rigore, anche logico. Per esempio. Il versetto 12 del Salmo 62 recita appunto «Una parola ha detto Dio, due ne ho udite» e Spinelli ne conclude che «le Sacre Scritture, depositarie dell'Uno (del Dio monoteista) prediligono purtuttavia un mondo differenziato». Segue un'interpretazione del discorso di Pietro dopo la Pentecoste, secondo cui «le lingue molteplici diversificano l'Uno, introducono nell'indistinto l'arte del distinguo». Ma non è affatto così: gli ascoltatori di Pietro intendono nella loro lingua l'unico messaggio (Cristo è il redentore, morto e risorto), senza introdurre distinguo di sorta. Il versetto utilizzato per il titolo risulta ancor più chiaro nella traduzione di Guido Ceronetti: «Dio parla una volta sola, due volte noi ascoltiamo», cioè bisogna riflettere ben bene per capire la parola di Dio. A pagina 59 c'è un inciso rivelatore. L'autrice vuol mettere in guardia contro la "tirannia dei valori", e spiega: «Tirannia ineludibile a partire dal momento in cui si cerca il surrogato della vecchia legge naturale». Ecco, vogliamo un po' discutere di questa "vecchia legge naturale" che Spinelli cita solo nell'inciso? Non starà proprio lì la soluzione dei problemi che l'impavida editorialista della Stampa ingarbuglia? Nel finale del pamphlet, che è una difesa del relativismo, viene apprezzato Hartmann che «alla tirannia dei valori oppone la sintesi che in Aristotele è cercata fra più virtù, nessuna delle quali, da sola e in ogni evenienza, può assurgere alla sommità del valore autentico». Arruolare Aristotele nelle schiere del relativismo contro "la tirannia dei valori" è un'impresa, già difficile per Hartmann, che diventa spericolata per Barbara Spinelli. In definitiva, è sorprendente che l'autrice sia riuscita a concentrare in così poche pagine tante slogature cerebrali causate dall'abuso di jogging in biblioteca.
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