venerdì 21 giugno 2013
Prendo atto che quando vincono gli altri prevalgono tecnica, condizione fisica e competenza; mentre quando vinciamo noi, vince il Cuore, che è già un bel passo avanti rispetto ai tempi in cui i successi si attribuivano - evitando volgarità - allo Stellone. E tuttavia - dopo aver preso atto che l'Italia ha colto sul Giappone una vittoria strappacore - prudenza vuole che si faccia notare come il ricorso all'adorato muscolo che ci arde in petto e accende la mente preceda quasi sempre una crisi, soprattutto se si è incapaci di razionalizzare i comportamenti tecnico-agonistici dei giocatori, della squadra, dell'intero gruppo. Solo fra il '34 e il '38 Vittorio Pozzo, forte delle sue origini manageriali, seppe produrre la lunga linea azzurra di successi; nelle altre occasioni “mondiali”, la tempesta seguì puntualmente la festa. Costruire una rappresentativa nazionale in Italia, oggi, è oltremodo difficile per i tanti motivi più volte esposti: da una somma di fattori negativi (come un campionato troppo lungo e l'eccessiva presenza di pedatori stranieri nei ruoli-chiave) si pretende di ricavare il successo immediato. Ecco perché guardando al futuro trovo più costruttivo il 4-2 patito dall'Under 21 di Mangia ad opera della Spagna piuttosto che il 4-3 inflitto al Giappone dall'Italia di Prandelli. Gli azzurri hanno pesantemente subìto l'avversario, ovviamente sottovalutato, anche sul piano tattico, anche in momenti di esibizione giapponese di “piedi buoni” che dunque non appartengono più solo a noi; gli azzurrini, invece, hanno perduto il confronto con la solita Spagna non demeritando, anzi finendo applauditi, perché hanno provato a vincere con forte determinazione, con le armi lecite (non che il cuore non lo sia, però...) suggerite da un tecnico, Mangia, che guarda avanti e non respinge la tradizione. Gli spagnoli sono ormai le nostre “bestie rosse” (da furie che erano) perché hanno iniziato da molto tempo una rivisitazione globale del calcio nazionale, sottraendosi alla globalizzazione suggerita da tanti campioni stranieri militanti nei loro club maggiori, anzi privilegiando il vivaio. Se si rivisitano le loro imprese, si coglie una continuità tecnico-tattica efficacissima, addirittura con l'adozione di moduli italici, a dimostrazione che la fonte ispiratrice è unica; credo invece che fra Azzurri e Azzurrini non vi sia la stessa identità di vedute: Prandelli da una parte, con la sua fissazione della tenuta di palla spagnoleggiante che non ci ha ancora permesso di mostrare un carattere originale; Mangia dall'altra che, al momento opportuno, non disdegna il ricorso al contropiede. Vedrei volentieri lavorare in sintonia l'intero Club Italia proprio per diventare vittoriosi come gli spagnoli. Per raggiungere, lavorando così, due importanti risultati: convincere i club a operare nei vivai con uno spirito nuovo, anche a scopo di business, perché no, indirizzando verso l'azzurro più giovani già esperti; eppoi per fornire a Prandelli i rinforzi necessari per Brasile 2014. Sbaglierò, ma la “lezione” spagnola è tutta qui e i risultati europei e mondiali non episodici ma consolidati lo confermano.
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