martedì 4 novembre 2014
Il problema è il Progetto. Lo dissi, anni fa, a un ricchissimo industriale - tycoon, si diceva - entrato nel calcio con una certa arroganza e un suo straordinario e intelligentissimo Progetto per vincere e far soldi. Gli consigliai - gratuitamente - di lasciar perdere perchè i progetti nel calcio sono come i piani quinquennali dell'Unione Sovietica: non ne realizzarono uno che uno. E quando mi sottopongono lo stato disastroso delle squadre di Milano (il Milan a 16 punti, demolito dal Palermo, l'Inter a 15, umiliata dal Parma) mi viene subito in mente che entrambe hanno smesso di vincere appena hanno progettato il futuro in chiave economico/finanziaria e varato una programmazione accurata per tornare in qualche tempo - due o tre anni - agli antichi splendori. E allora ricordo il loro passato glorioso (o inglorioso) con le gesta di due personaggi, uno “progettista”, l'altro no. Il progettista capitò al Milan, nel 1962, si chiamava Felice Riva (alias Felicino) proprietario del cotonificio Valle Susa, trenta stabilimenti, mill'altre società, quindicimila dipendenti, una passione per Rivera: da patron rossonero disse «ghe pensi mi», in tre anni fece un botto spaventoso e scappò in Libano. Dopo di lui, un imprenditore avveduto - Luigi Carraro - rimise in sesto la società, e suo figlio, Franco, uomo di sport circondato di abili consiglieri fra i quali il Conte Rognoni, riportò al Milan scudetto e Coppacampioni. Negli stessi anni l'Inter aveva un patron generoso e appassionato, Angelo Moratti, che la riportò ai vertici italiani, europei e mondiali senza alcuna progettazione, tant'è vero che, avendo arruolato Edmondo Fabbri dopo che questi aveva vinto tutto con il Mantova (e con Allodi), all'ultimo istante lo sostituì sulla panchina nerazzurra con Helenio Herrera, il Mago. Gianni Brera - che almeno tatticamente si rifaceva a progetti precisi elaborati con Gipo Viani e Nereo Rocco, dico del Catenaccio - non amò mai Helenio che peraltro costruì le sue vittorie sulla difesa più forte del mondo: Sarti, Burgnich, Facchetti, Guarneri e Picchi. Oggi l'Inter, le cui sostanze sono state prosciugate dal Triplete, è nelle mani di un inesperto quanto entusiasta imprenditore indonesiano che temo vittima di indifferenza e slealtà: Thohir è stato lasciato solo anche dai tifosi che non gli danno il tempo di capire il calcio e di ricostruire, con l'aiuto del geometra Mazzarri, un impero demolito. Proprio come il Milan che non s'è più ripreso dalla cessione di Ibra & Thiago, venduti per assecondare un progetto di rinascita che non corrisponde alla magìa ma alla ragioneria e a una velleitaria missione etica. Li tiene a bada, a distanza, la Juve che da sempre costruisce calcio su calcio senza progetti astrusi.
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