giovedì 7 agosto 2008
Èmorto Alexander Solzhenitsyn, e in pagina, pur con qualche diversità, spiccano ricordi col vizio ideologico incorporato. Martedì "Liberazione" ha due pagine intere, che però la dicono lunga sul pensiero ancora accorciato della redazione: "Solgenitsyn malgrado Solgenitsyn. Denunciò l'orrore dei Gulag. Ma rimpiangeva lo Zar". Quel «malgrado», e quel «ma» nascondono ciò che oggi consente di presentarsi come rifondatori del comunismo. Nel genere, un po' meno appesi al pregiudizio, ma ancora incapaci di ammettere il suicidio ideale di 70 anni ancora recenti "L'Unità" (p. 22): "Solgenitsyn, 'eroe' di una Russia che non c'è più". Seguono due specificazioni che servono a dire " sotto sotto " che chi ne parlava male o lo trattava peggio " come "L'Unità" dei bei tempi " in fondo non aveva solo torto. Eccole alla lettera: «Non perdonava all'Occidente il consumismo» e «Rimpiangeva una società basata sui valori forti». Perciò sempre indigesto a chi oggi si fa alfiere del "pensiero debole". Interessante sul "Corsera" già lunedì (p. 31) il giudizio di Vittorio Strada: «Non accettò di considerare lo stalinismo un capro espiatorio come causa dei mali russi, ma insisté sempre per risalire alle radici di quel male, leniniste e marxiste». Ecco perché è ancora indigesto a chi su quelle radici vuole rifondare qualcosa" Dunque? Chiaro più di ogni altro, e assolutamente esemplare anche per l'oggi ("Il Foglio", 5/8, p. I dell'inserto) quanto scritto di sé da Solzhenitsyn stesso: «Non ho alcuna rivelazione politica. A me interessa la linea che divide bene e male, e che attraversa il cuore di ognuno».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI