mercoledì 15 luglio 2009
Finalmente si intravede il traguardo della pubblicazione dell'Opera omnia di Sergio Solmi. Sei i volumi previsti, per complessivi nove tomi, a cura di Giovanni Pacchiano, così distribuiti: Poesie, meditazioni e ricerche (vol. I, in due tomi); Studi leopardiani (vol. II); La letteratura italiana contemporanea (vol. III, in due tomi); Saggi di letteratura francese (vol. IV, in due tomi); Letteratura e società (vol. V); Scritti sull'arte (vol. VI).
I libri sono usciti in ordine diverso rispetto al piano, sempre da Adelphi, ed era un atto in qualche modo dovuto, dato che Solmi è stato tra i fondatori della prestigiosa editrice. Il primo volume è apparso nel 1983 (sì, ventisei anni fa) e adesso è stato stampato il secondo tomo dei Saggi di letteratura francese (pp. 592, euro 48), per cui manca all'appello solo il vol. VI, di Scritti sull'arte. Speriamo di non dover attendere altri vent'anni.
Questo monumento in libri dalla copertina in carta marmorata che li rende ulteriormente classici, colma di gratitudine gli ammiratori di Solmi, quorum ego. Ebbi modo di conoscere un Solmi già anziano (morì a 82 anni nel 1981), nella sua casa milanese di via Crivelli: era vagamente disperato «in questi anni di declino, disertato dalla poesia come di tutto il resto, in un mondo più che mai straniero», come mi scrisse in un commovente biglietto. Eppure manteneva l'acume critico che gli meritò (o avrebbe dovuto meritargli) la riconoscenza di Eugenio Montale, di Umberto Saba, di Salvatore Quasimodo e di tanti altri autori italiani e stranieri, compresi alcuni esponenti della Neoavanguardia, come Antonio Porta.
Nel nuovo tomo dell'Opera omnia è incluso il famoso Saggio su Rimbaud, nel quale Solmi radunò tutti i suoi scritti sul ragazzaccio di Charleville, il primo dei quali è addirittura del 1917.
A prima vista, è difficile stabilire una parentela, o un'affinità, tra Solmi e Rimbaud. Solmi, poeta e scrittore apollineo, nella vita fu un altoborghese: direttore dell'Ufficio legale della Banca commerciale italiana di Raffaele Mattioli (di cui era confidente e amico, oltre che imparentato), Solmi partecipò alla Resistenza nel Partito d'Azione, e fu incarcerato due volte. Ma non rivendicò mai benemerenze politiche, preferendo tuffarsi nei libri. Da dove viene, dunque, la passione per lo scioperato, devastante adolescente Rimbaud? Giovanni Pacchiano, nel congruo saggio conclusivo, giustamente nota che nell'intelligenza di Solmi «l'irrazionale è tenuto a freno», e forse per questo la sua repressa visionarietà ebbe modo di proiettarsi nello sregolamento di Rimbaud. Del resto Solmi, che fu tra i primi a interessarsi di fantascienza (Levania e altre poesie è del 1956), si è occupato anche di astrologia (Meditazioni sullo Scorpione, 1972) e del circolo iniziatico di René Daumal, Le Grand Jeu, ma sempre con la sorvegliata lucidità che gli consentiva di liquidare il nichilismo del pur ammirato Cioran, come «un pessimismo per ridere». Ma, a ben guardare, al fondo della classicità della sua poesia e della sua prosa si coglie una controllata attrazione per lo sfacelo e per l'informe, come accade col segreto erotismo funebre delle sculture del «glaciale» Canova. Comunque, l'ammirazione di Solmi per Rimbaud è totale, al punto da prendere tempestivamente le distanze, nel 1954, da Étiemble, apprezzato per l'acribia filologica, ma non condiviso nel tentativo di demolizione del «mito Rimbaud». Solmi fu tra i più convinti sostenitori della posteriorità delle Illuminations rispetto alla Saison en enfer, e basti questa frase per riassumere tutto il vissuto e tutta la poetica di Rimbaud: «Proiettato l'arcobaleno come un magico ponte al di sopra della sua crisi d'infanzia, e della sua conseguente irreparabile separazione con la realtà, egli vuol fare qualcosa di più: camminare sull'arcobaleno per rientrare davvero, anima e corpo, nel vecchio paradiso terrestre».
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