martedì 25 giugno 2019
Il nuovo manifesto del Sahel comincia così: soldatevi di tutto il mondo unitevi, qui c'è posto. In prospettiva arriveranno anche l'Inghilterra e i Paesi Bassi. E insieme i turchi che vorranno proteggere i loro crescenti investimenti, gli Emirati Arabi molto Uniti per i propri interessi e chissà quale altro Paese. D'altra parte il Niger, nel suo piccolo, in quanto a militari non ha lezioni da prendere da nessuno. Tre golpe militari riusciti, uno denunciato durante l'attuale Settima Repubblica e l'insieme della vita politica che si gestisce meglio se "pretorizzata". Il tutto in un breve spazio democratico che ha annoverato transizioni militari, regimi di eccezione e una Conferenza Nazionale Sovrana nel 1991. L'attuale Repubblica, in un contesto regionale dai contorni preoccupanti, ha facilitato l'apertura incondizionata alla militarizzazione del territorio nazionale. Tra basi militari francesi, americane, tedesche e presenze militari italiane e spagnole, operazioni congiunte contro i sempre più variegati e mortalmente variopinti gruppi armati che crescono in numero e intensità. Aumentano gli attacchi armati, i morti, gli ostaggi, i profughi e i rifugiati. Gli unici a diminuire e a scomparire gradualmente e silenziosamente dalla scena sono i migranti, una volta riconosciuti protagonisti di sabbia. Sono ormai tristemente affidati alle dune del deserto o alle mani a forma di Centri dell'Oim, l'Organizzazione internazionale delle migrazioni (e del "libero" ritorno alla casella di partenza).
Aumentano nel frattempo le zone del Paese e dell'intero Sahel dipinte in rosso dalle cancellerie occidentali. Così come aumentano le operazioni militari destinate a "neutralizzare" i nemici. E crescono in proporzione le richieste di fondi, equipaggiamento, formazione nella gestione delle crisi. Con ogni probabilità il Sahel-Sahara si confermerà, nel prossimo futuro, come spazio privilegiato di azione per i gruppi di ispirazione ideologica armata. Anni di complicità, connivenze finanziarie e implicite adesioni alle ideologie religiose di stampo salafita non potevano non portare frutto. Ci saranno guerre o turbolenze nelle quali, per subappalto militare, interessi divergenti vedranno l'Occidente misurarsi con nuovi attori, come ad esempio la Cina. Guerre per procura, qui come altrove, con l'unica differenza che nel Sahel a vincere, all'insaputa e in barba a tutti i protagonisti, sarà la sabbia. È la sabbia, infatti che tutto coprirà col suo manto. La sabbia avvolgerà, con la complicità del vento, le banche, la nuova moneta in gestazione per l'Africa Occidentale, il terzo ponte di Niamey e la fabbrica di birra Niger ormai in liquidazione. Ma questo la gente ancora non lo sa. Le guerre erano cominciate molto prima. Dalle colonie rese indipendenti, agli asservimenti economici segreti o palesi. L'occidentalizzazione americanizzata del mondo, come ha ricordato a suo tempo Serge Latouche, è apparsa come una violenza armata di simboli e processi invasivi del mondo. La guerra globale al terrorismo è il frutto degli avvenimenti mediatizzati delle Torri Gemelle assieme alle guerre seguenti, riempite di menzogne. Il tutto si è riassunto con armi, jihadisti "adottati" dall'Occidente e il caos creato in Libia nel 2011, e subito esportato nel Sahel e nel Paesi circonvicini. La militarizzazione dello spazio in questione finisce con l'attirare i gruppi della resistenza globale jihadista che trovano nelle divisioni a livello regionale nuovi argomenti di penetrazione. La fiera armata e sanguinosa del Sahel rischia di non terminare in fretta e il suo versante anticristiano emerge in modo occasionale ma inequivocabile. Solo la sabbia salverà ciò che rimane del mondo così come le armi e coloro che le usano l'hanno ridotto. Le armi sono quelle della politica, della religione e dell'economia che tutto trasforma nel dio adorabile da ogni tipo di regime e di potere. La sabbia millenaria del Sahel non si lascia ingannare né dai potenti né dai regni che sono passati tra le sue dita. Sabbie di tutto il mondo unitevi!
Niamey, giugno 2019
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