sabato 16 maggio 2020
Se il nostro sistema pubblico uscirà dall'emergenza così come è entrato in guerra contro il SARS-CoV-2, la traiettoria di declino seguita dall'Italia negli ultimi vent'anni diventerà un destino irreversibile. «L'Italia è un Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili» amava ripetere Aldo Moro. Niente di più vero e attuale. Mentre nel mondo dell'impresa e del commercio la rabbia sta raggiungendo livelli di guardia, siamo costretti a commentare un decreto emanato dal Governo "salvo intese" e composto da 260 norme contenute in 400 pagine. Nulla di nuovo sotto questo cielo, ahinoi: un testo normativo – secondo prassi consolidata nella storia contemporanea – complesso da leggere e da applicare, non armonizzato nelle sue diverse parti, ancora suscettibile di cambiamenti e interpretazioni differenti. Ma mettiamoci nella testa di un imprenditore, di un commerciante, di un artigiano: dopo un'attesa durata 50 giorni, in cui ha avuto in sorte solo annunci e scontri politici mentre i suoi colleghi in Germania e Francia ricevevano soldi e semplificazioni, si attendeva un provvedimento più semplice, più chiaro e (per quanto possibile) immediatamente esecutivo. E invece tutto ciò rischia di renderlo assai meno "effettivo", nella percezione e nell'execution, nonostante l'importante sforzo compiuto dal Governo sul piano delle risorse stanziate e del set di strumenti messo in campo. Perché in Italia non basta stanziare risorse: bisogna (soprattutto) "liberarle" dall'iper-burocrazia e dal bizantinismo normativo.
Lo stesso imprenditore, lo stesso commerciante, lo stesso artigiano non avrebbe mai immaginato di trovarsi - in molti casi - di fronte ad un bivio: riaprire o no? Non solo per problemi economici, che in parte saranno risolti (quando sarà operativo) dal "Decreto Rilancio". Ma soprattutto perché è tormentato da dubbi e paure, causati da una serie di norme assurde e da una generale sfiducia dello Stato nel suo operato. Non dormirà la notte pensando che rischia d'essere responsabile penalmente e civilmente nel malaugurato caso in cui un collaboratore si ammali di Covid-19, nonostante l'INAIL abbia chiarito ieri che questa responsabilità sussiste se viene accertato il dolo o la colpa dell'imprenditore (in cosa consista la colpa, sarà oggetto di grandi discussioni nelle prossime settimane). Così come si chiederà in quanto tempo arriveranno questa volta le risorse della CIG (soprattutto in deroga) e se sarà costretto di nuovo ad anticiparle ai lavoratori. E forse tremerà all'idea che il funzionario di banca che sta esaminando la sua richiesta di finanziamento possa essere frenato dalla responsabilità per bancarotta posta in capo all'istituto di credito, nell'ipotesi di fallimento dell'azienda finanziata.
Il sogno di un'Italia (più) semplice non è mai stato così forte e diffuso. Perché, citando Winston Churchill, solo se l'impresa privata non sarà più considerata «una tigre feroce da uccidere subito o una mucca da mungere», ma «un robusto cavallo che traina un carro molto pesante», l'Italia potrà ripartire davvero. Cambiando la sua traiettoria di declino.
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@FFDelzio
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