Social farming ecco la prima piattaforma italiana
domenica 28 marzo 2021
«Coltivare emozioni». E coltivarle davvero, farle crescere, le emozioni, attraverso un'attività agroalimentare che sia sempre più rispettosa dell'ambiente, custode delle tradizioni ma anche sostenibile dal punto di vista economico. Obiettivo non facile, soprattutto quest'ultimo. Eppure c'è chi ci prova, partendo dall'innegabile legame tra l'agricoltura, la produzione di cibo e il portato di messaggi positivi che la buona alimentazione determina. Occorre però far quadrare i conti. È per questo che è stata creata "Coltivatori di Emozioni" che si definisce come «la prima piattaforma italiana di social farming». Un'iniziativa ambiziosa che vuole: custodire e sostenere il patrimonio agricolo del nostro paese, recuperare antiche varietà contadine, riattivare i piccoli borghi in stato di abbandono, incentivare l'integrazione e il sostegno all'occupazione. Già, perché le buone emozioni servono molto a vivere bene, ma non bastano. Da qui quindi la creazione di una rete di privati, imprese ed enti vari che sostengono i coltivatori che producono le eccellenze del made in Italy. Tutto è stato lanciato in questi giorni e in vista della Pasqua. Ad oggi su www.coltivatoridiemozioni.com ci sono già 40 piccoli produttori agricoli in 15 Regioni. Attraverso il portale si può sostenere, solo per fare due esempi, il tartufo di Lugnano in Taverina oppure lo zafferano di Navelli e molto altro. Il meccanismo pare semplice. Dal sito è possibile regalare buoni lavoro, del valore di 10 euro, che i contadini potranno trasformare in ore per la semina, la potatura, l'aratura, cioè tutte le operazioni utili per completare la filiera produttiva. In "cambio" si riceveranno dei pacchi (di tre dimensioni a seconda del sostegno fornito), con i prodotti provenienti dalle aziende sostenute, un certificato di adozione che suggella il legame con il produttore e in alcuni casi l'indicazione delle piante "adottate" con il proprio nome. Non una semplice trovata commerciale, ma qualcosa di più: il tentativo di far comprendere quanto lavoro c'è dietro il buon cibo e di creare un legame quasi personale tra produttori e consumatori. In tempi di digitalizzazione anche una cosa del genere può contare.
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