sabato 8 settembre 2018
La diffusione incontrollata delle fake news rappresenta ormai la "bestia nera" delle democrazie occidentali, che si sono scoperte estremamente vulnerabili rispetto all'incredibile quantità di informazioni false e tendenziose che si diffondono viralmente nell'oceano dei social media. E quando si avvicinano le elezioni la ricerca di (complesse) soluzioni diventa tanto necessaria quanto spasmodica, in uno scenario nel quale l'azione esclusiva dei Governi rischia di essere inutile e velleitaria. La sensazione diffusa è che la politica e i suoi strumenti ordinari siano sostanzialmente impotenti di fronte a chi scientificamente avvelena i "pozzi" dell'informazione.
Un banco di prova fondamentale sarà costituito dalle iniziative del Congresso degli Stati Uniti, in vista delle elezioni di mid-term. Non a caso, la strategia anti-fake che sta prevalendo oltreoceano non si fonda su nuove leggi o altro tipo di provvedimenti normativi di natura restrittiva, bensì sull'adozione da parte dei giganti del mondo web e social di forme molto più rigorose e stringenti di auto-regolamentazione. «Stiamo fermando la diffusione delle fake news», ha assicurato la numero due di Facebook Sherryll Sandberg, durante la sua audizione presso la Commissione per l'intelligence del Senato americano, sulla scia di quanto dichiarato di recente al "Washington Post" da Marck Zuckerberg: « la nostra responsabilità è quella di amplificare il bene e mitigare il male. Questo è particolarmente vero quando si tratta di elezioni, ha affermato il fondatore di Facebook. Sulla stessa lunghezza d'onda sembra essere oggi anche Twitter. «Abbiamo raddoppiato l'identificazione degli account sospetti», ha dichiarato il suo numero uno Jack Dorsey. Non risultano ancora impegni ufficiali nella stessa direzione, invece, da parte di Google. Ma è certo che - almeno nel loro Paese d'origine - i giganti mondiali del web abbiano iniziato a perseguire una strategia nuova, fondata sulla capacità di tutelare i loro clienti dal rischio di fondare le proprie opinioni su fatti mai verificatisi e dati non corretti.
In Europa e nel nostro Paese, al contrario, l'approccio prevalente guarda al potere della legge come cura principale di questo male oscuro. Ma se da una parte la legislazione penale (attraverso il reato di diffamazione, per esempio) già consente di tutelarsi rispetto ai diffusori professionali di fake news, dall'altra parte appare ancora inadeguata la risposta dello Stato nei confronti dell'uso scientifico dei trolls come arma di "distruzione di massa". Anche alle nostre latitudini, dunque, è fondamentale che i protagonisti principali della battaglia anti-fake siano gli stessi social media. Abbracciando una sorta di "sviluppo sostenibile" e quindi difendendo la loro stessa ragion d'essere: migliorare la qualità della vita dei loro clienti.
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